17. Verso la società di massa
17.1 Che cos'è la società di massa
"Le città sono piene di gente. Le case piene di inquilini. Gli alberghi pieni di ospiti. I treni pieni di viaggiatori. I caffè pieni di consumatori. Le strade piene di passanti. Le anticamere dei medici piene di ammalati. Gli spettacoli [...] pieni di spettatori. [...] La moltitudine, improvvisamente, s'è fatta visibile [...]. Prima, se esisteva, passava inavvertita, occupava il fondo dello scenario sociale; adesso s'è avanzata nelle prime linee, è essa stessa il personaggio principale. Ormai non ci sono più protagonisti: c'è soltanto un coro".
Queste frasi, tratte dal celebre libro La ribellione delle masse dello spagnolo José Ortega y Gasset, sono state scritte nel 1930. Ma il fenomeno che vi è descritto - e che allora appariva così esplicito nelle sue manifestazioni visibili e così inquietante nelle sue implicazioni - aveva radici molto lontane. Di "massa" nel senso di moltitudine indifferenziata al suo interno, di aggregato omogeneo in cui i singoli tendono a scomparire rispetto al gruppo, si parlava già all'inizio dell'800, dopo che la Rivoluzione francese aveva visto il "popolo" entrare per la prima volta da protagonista sulla scena politica. I problemi del rapporto fra massa e individuo, con particolare accento sui pericoli che l'ascesa delle masse portava all'ordine sociale tradizionale (ma anche a quello liberal-borghese), erano stati al centro della riflessione di molti pensatori ottocenteschi (si pensi a Tocqueville). Ma è solo alla fine dell'800, col diffondersi dell'industrializzazione e dei connessi fenomeni di urbanizzazione, e solo nei paesi economicamente più avanzati dell'Europa occidentale e del Nord America, che si vengono delineando i contorni di quella che oggi chiamiamo "società di massa".
Nella società di massa la maggioranza dei cittadini vive in grandi e medi agglomerati urbani; gli uomini sono quindi a più stretto contatto gli uni con gli altri; entrano in rapporto fra loro con maggiore frequenza e facilità che in passato (grazie anche alla disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione e di informazione), ma questi rapporti hanno spesso un carattere anonimo e impersonale. Il sistema delle relazioni sociali non passa più attraverso le piccole comunità tradizionali (locali, religiose, di mestiere), ma fa capo alle grandi istituzioni nazionali: agli apparati statali, ai partiti e in genere alle organizzazioni "di massa", che esercitano un peso crescente sulle decisioni pubbliche e sulle stesse scelte individuali. Il grosso della popolazione è uscito dalla dimensione dell'autoconsumo e quasi tutti sono entrati, come produttori o come consumatori di beni e di servizi, nel circolo dell'economia di mercato. I comportamenti e le mentalità tendono a uniformarsi secondo nuovi modelli generali, svincolati dagli schemi e dalle consuetudini delle società tradizionali.
La società di massa è dunque una realtà complessa, risultante dall'intreccio di una serie di processi economici, di trasformazioni politiche, di mutamenti culturali. Una realtà che ha suscitato, e continua a suscitare, resistenze e reazioni d'ogni sorta e che è stata dipinta, a seconda dei punti di vista, ora con tratti ottimistici (l'ascesa delle masse come frutto della democratizzazione e della diffusione del benessere), ora con accenti di angosciata preoccupazione (il dominio delle masse come appiattimento generale e come minaccia per le libertà individuali). Comunque lo si voglia considerare, l'avvento della società di massa è un fenomeno che ha segnato come pochi altri la storia degli ultimi cent'anni. Di questo fenomeno cercheremo ora di cogliere le componenti principali e le manifestazioni più importanti, così come si presentavano nella loro fase iniziale, cioè negli anni a cavallo fra '800 e '900.
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