21. La prima guerra mondiale
21.1 Dall'attentato di Sarajevo alla guerra europea
Il 28 giugno 1914, uno studente bosniaco di nome Gavrilo Princip uccise con due colpi di pistola l'erede al trono d'Austria, l'arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie, mentre attraversavano in auto scoperta le vie di Sarajevo, capitale della Bosnia. L'attentatore faceva parte di un'organizzazione irredentista che aveva la sua base operativa in Serbia e godeva di una certa tolleranza da parte del governo di quel paese. Tanto bastò per suscitare la reazione del governo e dei circoli dirigenti austriaci, da tempo convinti della necessità di impartire una dura lezione alla Serbia.
Un attentato terroristico, molto simile a quelli di matrice anarchica che avevano già mietuto numerose vittime fra governanti e teste coronate, si trasformò così in un caso internazionale e mise in moto una catena di reazioni e controreazioni che precipitarono l'Europa in un conflitto di proporzioni mai viste. Un conflitto che avrebbe segnato una svolta decisiva nella storia dell'Europa e del mondo, ridisegnando i confini e mutando i rapporti di forza fra gli Stati, trasformando la stessa società, aprendo infine una fase di guerre e rivolgimenti interni durata più di trenta anni e conclusasi col definitivo tramonto della centralità europea. La vicenda dell'attentato di Sarajevo è dunque un tipico esempio di come il corso della "grande storia" possa essere influenzato da eventi singoli, da decisioni individuali prese da personaggi oscuri, da circostanze del tutto accidentali: nessuno può dire che cosa sarebbe accaduto se a Sarajevo i servizi di sicurezza fossero stati più efficienti o se l'attentatore avesse mancato il suo bersaglio. Nell'Europa del 1914 esistevano, è vero, tutte le premesse che rendevano possibile una guerra: rapporti tesi fra le grandi potenze (Austria contro Russia, Francia contro Germania, Germania contro Inghilterra), divisione in blocchi contrapposti, corsa agli armamenti, spinte belliciste all'interno dei singoli paesi. Ma queste premesse non avevano come sbocco obbligato un conflitto europeo. Fu l'attentato di Sarajevo a far esplodere tensioni che altrimenti avrebbero potuto restare latenti. Furono le decisioni prese da governanti e capi militari a trasformare una crisi locale in un conflitto generale, il primo combattuto sul vecchio continente dopo la fine delle guerre napoleoniche.
L'Austria compì la prima mossa inviando, il 23 luglio, un durissimo ultimatum alla Serbia. Il secondo passo lo fece la Russia assicurando il proprio sostegno alla Serbia, sua principale alleata nei Balcani. Forte dell'appoggio russo, il governo serbo accettò solo in parte l'ultimatum, respingendo in particolare la clausola che prevedeva la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sui mandanti dell'attentato. L'Austria giudicò la risposta insufficiente e, il 28 luglio, dichiarò guerra alla Serbia. Immediata fu la reazione del governo russo che, il giorno successivo, ordinò la mobilitazione delle forze armate. Dichiarare la mobilitazione significava dare il via a tutta quella serie di operazioni che costituivano la necessaria premessa di una guerra: operazioni particolarmente lunghe e complesse in un paese delle dimensioni dell'Impero zarista. Ma la mobilitazione - che i generali russi vollero estesa all'intero confine occidentale (e non solo alle frontiere con l'Austria-Ungheria) per prevenire un eventuale attacco da parte della Germania - fu interpretata dal governo tedesco come un atto di ostilità. Il 31 luglio la Germania inviò un ultimatum alla Russia intimandole l'immediata sospensione dei preparativi bellici. L'ultimatum non ottenne risposta e fu seguito, a ventiquattr'ore di distanza, dalla dichiarazione di guerra. Il giorno stesso (1° agosto) la Francia, legata alla Russia da un trattato di alleanza militare, mobilitò le proprie forze armate. La Germania rispose con un nuovo ultimatum e con la successiva dichiarazione di guerra alla Francia (3 agosto).
Fu dunque l'iniziativa del governo tedesco, che già nella prima fase della crisi aveva assicurato il proprio appoggio incondizionato all'Austria, a far precipitare definitivamente la situazione. Ma come spiegare un impegno così deciso della Germania in una crisi che in fondo non toccava direttamente nessuno dei suoi interessi vitali? Bisogna ricordare innanzitutto che la Germania soffriva da tempo di un complesso di accerchiamento, ritenendosi ingiustamente soffocata nelle sue ambizioni internazionali. C'erano poi le motivazioni di ordine militare. La strategia dei generali tedeschi si basava infatti sulla rapidità e sulla sorpresa, non ammetteva la possibilità di lasciare l'iniziativa in mano agli avversari e costituiva dunque di per sé un fattore di accelerazione della crisi e di ostacolo al negoziato. Il piano di guerra elaborato ai primi del secolo dall'allora capo di stato maggiore Alfred von Schlieffen, dando per scontata l'eventualità di una guerra su due fronti (l'alleanza franco-russa era operante dal 1894), prevedeva in primo luogo un massiccio attacco contro la Francia, che avrebbe dovuto esser messa fuori combattimento in poche settimane. Raggiunto questo obiettivo, il grosso delle forze sarebbe stato impiegato contro la Russia, la cui macchina militare era potenzialmente fortissima, ma lenta a mettersi in azione.
Presupposto essenziale per la riuscita del "piano Schlieffen" era la rapidità dell'attacco alla Francia. A questo scopo era previsto che le truppe tedesche passassero attraverso il Belgio, nonostante che la sua neutralità fosse garantita da un trattato internazionale sottoscritto anche dalla Germania. Ciò avrebbe permesso di investire lo schieramento nemico nel suo punto più debole e di puntare direttamente su Parigi. Il 4 agosto, i primi contingenti tedeschi invasero il territorio del Belgio per attaccare la Francia da nord-est. La violazione della neutralità belga non solo scosse profondamente l'opinione pubblica europea, ma ebbe anche un peso decisivo nel determinare l'intervento inglese nel conflitto. La Gran Bretagna, già fortemente preoccupata dall'eventualità di un successo tedesco, non poteva tollerare l'aggressione a un paese neutrale che si affacciava sulle coste della Manica. Così, il 5 agosto, l'Inghilterra dichiarava guerra alla Germania. Per i governanti tedeschi, che avevano sottovalutato la reazione dell'opinione pubblica inglese e avevano subordinato alle esigenze militari qualsiasi considerazione di opportunità politica, l'intervento della Gran Bretagna rappresentò il primo grave scacco.
Gli uomini politici tedeschi non furono i soli, in quei giorni cruciali, a dar prova di scarsa lungimiranza. Tutti i governi sottovalutarono la gravità dello scontro che si andava preparando; e tutti, salvo quello inglese, finirono con l'agire al rimorchio dei vertici militari. Fra gli stessi politici, del resto, era ampiamente diffusa la convinzione che una guerra (che ognuno immaginava breve e vittoriosa) avrebbe contribuito a soffocare i contrasti sociali e a rafforzare la posizione di governi e classi dirigenti. Almeno sui tempi brevi, il calcolo si dimostrò tutt'altro che sbagliato. In quasi tutti gli Stati coinvolti nel conflitto le forze pacifiste trovarono scarso appoggio in un'opinione pubblica massicciamente mobilitata a sostegno della causa nazionale e pronta a riconoscere le buone ragioni del proprio paese. Le grandi città si riempirono di dimostrazioni belliciste. Intellettuali di prestigio e maestri di scuola si adoperarono per spiegare al popolo la necessità della guerra. Il richiamo del patriottismo mostrò in questa occasione tutta la sua forza e fece breccia anche in quegli schieramenti che meno sembravano disposti ad accoglierlo.
Nemmeno i partiti socialisti, che avevano fatto del pacifismo e dell'internazionalismo la loro bandiera, seppero o vollero sottrarsi al clima generale di unione sacra. I capi della socialdemocrazia tedesca votarono in Parlamento a favore dei crediti di guerra, motivando la loro scelta col pericolo di una vittoria zarista. Analogo atteggiamento fu assunto dai socialdemocratici austriaci. I socialisti francesi, quando il 31 luglio il loro leader Jean Jaurès fu ucciso in un attentato da un fanatico nazionalista, rinunciarono a ogni manifestazione di protesta, e poco dopo entrarono a far parte del governo. La stessa cosa fecero i laburisti inglesi. Solo in Russia e in Serbia - paesi in cui il movimento operaio era completamente emarginato dalla vita politica - i socialisti mantennero un atteggiamento di intransigente opposizione. La Seconda Internazionale - nata come espressione della solidarietà fra i lavoratori di tutti i paesi e impegnata da sempre nella difesa della pace - cessò praticamente di esistere: fu, in fondo, la prima vittima della grande guerra.
Torna all'indice