21.12 L'ultimo anno di guerra
Nonostante i grandi mutamenti intervenuti nel corso dell'anno precedente, l'inizio del 1918 vedeva ancora i due schieramenti in una situazione di sostanziale equilibrio sul piano militare. La partita decisiva continuava a giocarsi sul fronte francese. Fu qui che lo stato maggiore tedesco tentò la sua ultima e disperata scommessa impegnando tutte le forze rese disponibili dalla firma della pace con la Russia. Negli ultimi giorni di marzo, i tedeschi riuscirono a sfondare fra Saint Quentin e Arras e avanzarono in territorio francese per una profondità di oltre cinquanta chilometri. L'attacco proseguì senza soste nei mesi successivi. In giugno l'esercito di Hindenburg era di nuovo sulla Marna e Parigi era sotto il tiro dei nuovi cannoni tedeschi a lunga gittata. Sempre in giugno, gli austriaci tentarono di sferrare il colpo decisivo sul fronte italiano attaccando in forze sul Piave, ma furono respinti dopo una settimana di furiosi combattimenti. Anche l'offensiva tedesca cominciava frattanto a esaurirsi. A metà luglio un ultimo attacco sulla Marna fu fermato dagli anglo-francesi, che agivano ora sotto un comando unificato affidato al generale francese Foch e cominciavano finalmente a giovarsi del massiccio apporto degli Stati Uniti.
Alla fine di luglio le forze dell'Intesa, ormai superiori in uomini e mezzi, passarono al contrattacco. Fra l'8 e l'11 agosto, nella grande battaglia di Amiens, i tedeschi subirono la prima grave sconfitta sul fronte occidentale. Da quel momento cominciarono ad arretrare lentamente, mentre fra le loro truppe si facevano più evidenti i segni di stanchezza. I generali tedeschi capirono allora di aver perso la guerra: la loro principale preoccupazione divenne quella di sbarazzarsi del potere che avevano così largamente esercitato e di lasciare ai politici la responsabilità di un armistizio che si annunciava durissimo, ma che avrebbe permesso alla Germania di concludere la guerra con l'esercito ancora integro e il territorio nazionale intatto. Il compito ingrato di aprire le trattative toccò a un nuovo governo di coalizione democratica, formatosi ai primi di ottobre con la partecipazione dei socialdemocratici e dei cattolici del Centro. Si sperava che un governo realmente rappresentativo potesse costituire un interlocutore più credibile per l'Intesa, in particolare per Wilson.
Ma era ormai troppo tardi. Mentre la Germania cercava invano una soluzione di compromesso, i suoi alleati crollavano militarmente o si disgregavano dall'interno. La prima a cedere, alla fine di settembre, fu la Bulgaria. Un mese dopo era l'Impero turco a chiedere precipitosamente l'armistizio. Sempre alla fine di ottobre si consumò la crisi finale dell'Austria-Ungheria. Il tentativo compiuto in extremis di trasformare l'Impero in una federazione di Stati semiautonomi non riuscì ad arrestare la volontà indipendentista dei vari movimenti nazionali. Cecoslovacchi e slavi del Sud diedero vita a Stati indipendenti, mentre le truppe di nazionalità non tedesca abbandonavano il fronte in numero sempre maggiore. Quando, il 24 ottobre, gli italiani lanciarono un'offensiva sul fronte del Piave, l'Impero era ormai in piena crisi. Sconfitti sul campo nella battaglia di
Vittorio Veneto, gli austriaci non riuscirono a organizzare una linea di resistenza per la defezione dei reparti cechi e ungheresi e il 3 novembre firmarono a Villa Giusti, presso Padova, l'armistizio con l'Italia che sarebbe entrato in vigore il giorno successivo, 4 novembre.
Intanto la situazione precipitava anche in Germania. Ai primi di novembre i marinai di Kiel, dov'era concentrato il grosso della flotta tedesca, si ammutinarono e diedero vita, assieme agli operai della città, a consigli rivoluzionari ispirati all'esempio russo. Il moto si propagò a Berlino e in Baviera e ad esso parteciparono anche i socialdemocratici, pure presenti nel governo "legale" del Reich. Un socialdemocratico, Friedrich Ebert, fu proclamato il 9 novembre capo del governo, mentre il Kaiser era costretto a fuggire in Olanda, subito imitato dall'imperatore d'Austria Carlo I. L'11 novembre i delegati del governo provvisorio tedesco firmavano l'armistizio nel villaggio francese di Rethondes, accettando le durissime condizioni imposte dai vincitori: consegna dell'armamento pesante e della flotta (che si autoaffondò per non cadere in mano al nemico), ritiro al di qua del Reno delle truppe, annullamento dei trattati con la Russia e la Romania, restituzione unilaterale dei prigionieri.
La Germania perdeva così una guerra che più degli altri aveva contribuito a far scoppiare. La perdeva per fame e per stanchezza, per esaurimento delle forze morali e materiali, ma senza essere stata schiacciata sul piano militare e senza che un solo lembo del suo territorio fosse stato invaso da eserciti stranieri. Gli Stati dell'Intesa, vincitori grazie all'apporto, tardivo ma decisivo, di una potenza extraeuropea, uscivano dal conflitto scossi e provati per l'immane sforzo sostenuto. La guerra, che era nata da una contesa locale e si era poi trasformata in uno scontro fra due blocchi di potenze per l'egemonia europea e mondiale, si chiudeva non solo con un tragico bilancio di perdite umane (8 milioni e mezzo di morti, oltre 20 milioni di feriti gravi e mutilati, un'intera generazione - quella dei nati nell'ultimo ventennio dell'800 - letteralmente decimata), ma anche con un drastico ridimensionamento del peso politico del vecchio continente sulla scena internazionale.
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