22.2 La rivoluzione d'ottobre
La decisione di rovesciare con la forza il governo Kerenskij fu presa dai bolscevichi il 23 ottobre, in una drammatica riunione del Comitato centrale del partito, nella quale Lenin dovette superare forti opposizioni fra i suoi stessi compagni. Contrari all'insurrezione erano due fra i più autorevoli dirigenti del partito, Gregorij Zinov'ev e Lev Kamenev. Favorevole era invece un altro leader di grande prestigio, Lev Davidovic Bronstein, noto con lo pseudonimo di
Trotzkij. Proveniente dalla sinistra menscevica, eletto in settembre presidente del soviet di Pietrogrado, Trotzkij fu l'organizzatore e la mente militare dell'insurrezione. Kerenskij cercò di correre ai ripari ordinando, come aveva già fatto in luglio, l'allontanamento dei reparti "sovversivi" e l'arresto dei dirigenti bolscevichi. Ma questa volta le truppe non obbedirono.
La mattina del 7 novembre (25 ottobre secondo il calendario russo), soldati rivoluzionari e guardie rosse (ossia milizie operaie armate), dopo essersi assicurati durante la notte il controllo dei punti nevralgici della capitale, circondarono e isolarono il Palazzo d'inverno, già residenza dello zar e ora sede del governo provvisorio, e se ne impadronirono la sera stessa, incontrando scarsa o nessuna resistenza fra gli eterogenei e sfiduciati reparti che erano incaricati di difenderlo. L'attacco al Palazzo d'inverno - destinato ad assurgere a episodio-simbolo della rivoluzione, come era stata la presa della Bastiglia nel 1789 - fu praticamente incruento: pochissime furono le vittime nei rari e confusi scontri che ebbero luogo nei corridoi e nei saloni dell'antica reggia.
Nel momento stesso in cui cadeva l'ultima resistenza del governo provvisorio, si riuniva a Pietroburgo il Congresso panrusso dei soviet, cioè l'assemblea dei delegati dei soviet di tutte le province dell'ex Impero russo. La coincidenza di date era stata voluta dai bolscevichi perché il congresso - dove essi erano in netta maggioranza - potesse sanzionare, e in qualche modo legalizzare, l'avvenuta presa del potere. Come suo primo atto il congresso approvò due decreti proposti personalmente da Lenin. Il primo faceva appello a tutti i popoli dei paesi belligeranti "per una pace giusta e democratica [...] senza annessioni e senza indennità". Il secondo stabiliva in forma lapidaria che la grande proprietà terriera era "abolita immediatamente e senza alcun indennizzo". Il nuovo potere tendeva così a garantirsi l'appoggio, o almeno la neutralità, delle masse contadine, accontentate nelle loro aspirazioni più elementari e immediate. Veniva frattanto costituito un nuovo governo rivoluzionario, composto esclusivamente da bolscevichi e di cui Lenin era presidente, che fu chiamato Consiglio dei commissari del popolo.
La fulminea presa del potere da parte dei bolscevichi lasciò disorientate tutte le altre forze politiche. Solo la minoranza di sinistra dei socialrivoluzionari si schierò col nuovo governo ed entrò successivamente a farne parte con tre suoi esponenti. I menscevichi, i cadetti, e la maggioranza dei socialrivoluzionari protestarono vivacemente contro l'atto di forza. Ma i gruppi di opposizione non organizzarono manifestazioni di aperto sabotaggio contro il governo rivoluzionario e preferirono puntare le loro carte sull'imminente convocazione dell'Assemblea costituente, le cui elezioni, dopo molti rinvii, erano state fissate per la fine di novembre.
I risultati delle urne costituirono una gravissima delusione per i bolscevichi. Con circa nove milioni di voti, ottenuti per lo più nei grandi centri, essi ebbero infatti meno di un quarto dei seggi (175 su 707). Quasi scomparsi dalla scena i menscevichi e i cadetti, che ebbero una quindicina di seggi ciascuno, i veri trionfatori delle elezioni furono i socialrivoluzionari, che si assicurarono la maggioranza assoluta con oltre 400 seggi, grazie al massiccio sostegno dell'elettorato rurale. Ma i bolscevichi non avevano nessuna intenzione di rinunciare al potere appena conquistato. Riunitasi la prima volta in gennaio, la Costituente fu immediatamente sciolta grazie all'intervento di militari bolscevichi, che ubbidivano a un ordine del Congresso dei soviet.
Questo nuovo atto di forza era coerente con le idee espresse più volte da Lenin, che non credeva alle regole della "democrazia borghese" e riconosceva al solo proletariato il diritto di guidare il processo rivoluzionario, attraverso le sue espressioni dirette (i soviet) e la sua avanguardia organizzata (il partito). Certo è che, con lo scioglimento della Costituente, il potere bolscevico rompeva definitivamente con le altre componenti del movimento socialista e con tutta la tradizione democratica occidentale, ponendo le premesse per l'instaurazione di una dittatura di partito.
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