24.7 L'agonia dello Stato liberale
L'esito delle elezioni di maggio mise praticamente fine all'ultimo esperimento governativo di Giolitti, che si dimise all'inizio di luglio. Il suo successore, l'ex socialista
Ivanoe Bonomi, tentò di far uscire il paese dalla guerra civile favorendo una tregua d'armi fra le due parti in lotta. Una tregua teorica fu in effetti conclusa nell'agosto 1921, con la firma di un patto di pacificazione tra socialisti e fascisti. Questi ultimi si impegnavano a sciogliere le loro squadre d'azione. I socialisti accettavano di sconfessare le formazioni degli arditi del popolo, ossia quei gruppi di militanti di sinistra che si erano organizzati spontaneamente in alcune città per opporsi alle violenze fasciste.
Il patto rientrava in quel momento nella strategia di Mussolini, che mirava a inserirsi nel gioco politico "ufficiale" e temeva il diffondersi di una reazione popolare contro lo squadrismo. Questa strategia non era però condivisa dai fascisti intransigenti, che si riconoscevano nello squadrismo agrario e nei suoi capi locali, i cosiddetti ras (un nome ricalcato ironicamente su quello dei signori feudali etiopici). I "ras" (Grandi a Bologna, Farinacci a Cremona, Balbo a Ferrara, per citare solo i più noti) sabotarono in ogni modo il patto di pacificazione e giunsero a mettere in discussione la leadership di Mussolini. La ricomposizione delle fratture si ebbe al congresso dei Fasci tenutosi a Roma ai primi di novembre. Mussolini si rese conto di non poter fare a meno della massa d'urto dello squadrismo agrario e sconfessò il patto di pacificazione (che del resto non aveva mai funzionato sul serio). I "ras" riconobbero la guida politica di Mussolini e accettarono la trasformazione del movimento fascista in un vero e proprio partito, cosa che avrebbe limitato non poco la loro libertà d'azione. Nasceva così il
Partito nazionale fascista (Pnf), che poteva contare su una base di oltre 200.000 iscritti.
Mentre il fascismo acquistava forza e compattezza, si consumava la parabola del ministero Bonomi. Nel febbraio 1922, dopo un veto posto da Sturzo al ritorno al potere di Giolitti, la guida del governo fu affidata a
Luigi Facta, un giolittiano dalla personalità alquanto sbiadita. Con la costituzione del ministero Facta, l'agonia dello Stato liberale entrò nella sua fase culminante. La scarsa autorità politica del nuovo governo finì col dare ulteriore spazio alla dilagante violenza squadrista. Condotto dalle sue stesse dimensioni, e dalla vastità degli interessi che ormai rappresentava, a superare l'ambito prevalentemente locale entro il quale si era mosso fin allora, il fascismo si rese protagonista, a partire dalla primavera del '22, di operazioni sempre più ampie e clamorose: scorrerie che coinvolgevano intere province, occupazione in armi di grandi centri, come Ferrara, Bologna e Cremona.
All'offensiva del fascismo - che giocava contemporaneamente su due tavoli, quello della violenza armata e quello della manovra politica - i socialisti non seppero opporre risposte efficaci né sul piano della tattica parlamentare né su quello della mobilitazione di massa. Inutile, perché tardiva, fu la decisione presa alla fine di luglio dal gruppo parlamentare socialista di ribellarsi alla linea intransigente imposta dalla direzione del Psi, dichiarando la propria disponibilità ad appoggiare un governo di coalizione democratica. Addirittura disastrosa nei suoi effetti si rivelò la decisione, presa pochi giorni dopo dai dirigenti sindacali, di proclamare per il 1° agosto uno sciopero generale legalitario in difesa delle libertà costituzionali. I fascisti colsero il pretesto per atteggiarsi a custodi dell'ordine e per lanciare una nuova e più violenta offensiva contro il movimento operaio. Per un'intera settimana le camicie nere si scatenarono contro sezioni, circoli, sedi di organizzazioni e giornali socialisti, attaccando le ultime roccheforti "proletarie", come Milano, Genova, Ancona, Livorno e Parma (fu questa l'unica città in cui la popolazione resistette validamente all'attacco squadrista).
Il movimento operaio usciva da questa prova materialmente e moralmente distrutto. L'unica conseguenza della ribellione dei parlamentari socialisti alla direzione del partito fu quella di affrettare una nuova e ormai inutile scissione. Ai primi di ottobre del '22 - poche settimane prima che il fascismo conquistasse il potere - in un congresso tenuto a Roma, i riformisti guidati da Turati abbandonavano il Psi per fondare il nuovo Partito socialista unitario (Psu).
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