24.10 Il delitto Matteotti e l'Aventino
Il successo nelle elezioni rafforzò notevolmente la posizione di Mussolini e alimentò le speranze di quei fiancheggiatori che, chiudendo gli occhi davanti a violenze e illegalità, speravano in un'evoluzione del fascismo in senso liberal-conservatore. Le opposizioni, indebolite e sfiduciate, non sembravano in grado di reinserirsi nel gioco politico. Ma, a poco più di due mesi dalle elezioni, un evento tragico e inatteso intervenne a mutare bruscamente lo scenario. Il 10 giugno 1924, il deputato
Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario (
24.7), fu rapito a Roma da un gruppo di squadristi (membri di un'organizzazione illegale alle dipendenze del Pnf), caricato a forza su un'auto e ucciso a pugnalate. Il suo cadavere, abbandonato in una macchia a pochi chilometri dalla capitale, fu trovato solo due mesi dopo.
Dieci giorni prima di essere ucciso, Matteotti aveva pronunciato alla Camera una durissima requisitoria contro il fascismo, denunciandone le violenze e contestando la validità dei risultati elettorali. Era dunque naturale che la sua scomparsa suscitasse nell'opinione pubblica, pur assuefatta alla violenza politica, un'ondata di indignazione contro il fascismo e il suo capo. Sebbene gli esecutori materiali del crimine fossero stati arrestati dopo pochi giorni, né allora né in seguito si poterono individuare con certezza i mandanti diretti. Il paese capì tuttavia che il delitto era il risultato di una pratica ormai consolidata di violenze e di impunità, di cui Mussolini e i suoi seguaci portavano intera la responsabilità. Il fascismo, che fino a pochi giorni prima era parso inattaccabile, si trovò improvvisamente isolato. Divise e distintivi del fascio scomparvero dalle strade. I giornali antifascisti moltiplicarono le vendite. Tutto l'edificio del nascente regime parve per un momento sul punto di crollare.
Ma l'opposizione, drasticamente ridimensionata dalle elezioni, non aveva la possibilità di mettere in minoranza il governo, né d'altra parte era in grado di affrontare una prova di forza sul piano della mobilitazione di piazza. La proposta dei comunisti di proclamare lo sciopero generale fu respinta dagli altri partiti e dai capi della Cgl. L'unica iniziativa concreta presa dai gruppi d'opposizione fu quella di astenersi dai lavori parlamentari e di riunirsi separatamente finché non fosse stata ripristinata la legalità democratica. La secessione dell'Aventino - come fu definita con un termine tratto dalla storia romana - aveva un indubbio significato ideale, ma era di per sé priva di qualsiasi efficacia pratica. I partiti "aventiniani" si limitarono infatti ad agitare di fronte all'opinione pubblica una "questione morale", sperando in un intervento della corona o in uno sfaldamento della maggioranza fascista. Ma il re non intervenne. E i fiancheggiatori, pur accentuando le loro critiche all'illegalismo fascista, non tolsero l'appoggio al capo del governo. Per venire incontro alle loro richieste, Mussolini accettò di dimettersi da ministro degli Interni e di sacrificare alcuni suoi collaboratori più coinvolti nell'affare Matteotti.
Nel giro di pochi mesi l'ondata antifascista rifluì. E Mussolini, premuto dall'ala intransigente del fascismo, decise di contrattaccare. Il 3 gennaio 1925, in un discorso alla Camera, il capo del governo ruppe ogni cautela legalitaria, dichiarò chiusa la "questione morale" e minacciò apertamente di usare la forza contro le opposizioni: "Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. [...] Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! [...] Il governo è abbastanza forte per stroncare definitivamente la secessione dell'Aventino". Nei giorni successivi, un'ondata di arresti, perquisizioni e sequestri si abbatté sui partiti d'opposizione e sui loro organi di stampa. Anziché provocare la fine dell'avventura fascista, la crisi Matteotti aveva determinato la disfatta dei partiti democratici e accelerato il passaggio da un governo autoritario a una vera e propria dittatura.
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