24.12 I regimi autoritari nell'Europa degli anni '20
Il fascismo fu, come si è visto, un prodotto tipico della crisi italiana del primo dopoguerra. Il suo successo va visto tuttavia nel quadro di una più generale crisi delle istituzioni liberal-democratiche che interessò buona parte dell'Europa negli anni '20, all'indomani di quella guerra mondiale che pure era sembrata concludersi col trionfo della democrazia.
La crisi si manifestò dapprima nei paesi dell'Europa centro-orientale, dove le istituzioni parlamentari avevano radici molto deboli e dove - con l'unica eccezione della Cecoslovacchia - molto forte era invece il peso delle forze conservatrici, della grande proprietà terriera e delle chiese. Il primo fra questi Stati a sperimentare l'autoritarismo di destra fu l'Ungheria, dove l'ammiraglio Horthy (
23.5) impose un regime rigidamente conservatore, in cui le libertà politiche e sindacali erano di fatto abolite. Un altro regime semidittatoriale, anche se meno reazionario di quello ungherese, si affermò in Polonia nel 1926, quando il maresciallo Pilsudski organizzò una marcia su Varsavia per riformare la costituzione in senso autoritario e dar vita a un governo "al di sopra dei partiti".
Non meno agitate furono negli anni '20 le vicende degli Stati balcanici. In Grecia il regime repubblicano nato nel '24, dopo la sconfitta con la Turchia (
23.6), non riuscì a funzionare regolarmente per i continui interventi dei militari e per la ricorrente minaccia dei gruppi monarchici. In Bulgaria l'esperimento democratico attuato dal primo ministro Stambolijski, leader del partito dei contadini e promotore di un'ampia riforma agraria, fu interrotto nel '23 da un colpo di Stato militare. Un caso a parte era rappresentato dalla Jugoslavia, dove la scena politica era dominata dal contrasto fra i diversi gruppi etnici. Per domare la protesta dei croati, che si sentivano oppressi dal centralismo serbo, il re Alessandro I attuò nel 1929 un colpo di Stato, col risultato di aggravare le tensioni e di spingere il movimento separatista croato (gli ustascia) sulla via del terrorismo.
Tutti questi regimi non potevano definirsi autenticamente fascisti, anche se avevano col fascismo non pochi elementi di affinità. Erano piuttosto regimi autoritari di tipo tradizionale, sostenuti dall'esercito e dai gruppi conservatori e privi di una propria base di massa, molto simili a quelli che nello stesso periodo si affermarono in un'altra area geografica, anch'essa afflitta da grave arretratezza economica e da profonde disuguaglianze sociali: la penisola iberica.
In Spagna, paese in cui la democrazia parlamentare aveva sempre vissuto di vita precaria, un colpo di Stato fu attuato nel 1923 dal generale Miguel Primo de Rivera, con l'appoggio del sovrano Alfonso XIII. Nel 1930, dopo sette anni di governo semidittatoriale, Primo de Rivera fu costretto a dimettersi di fronte a una massiccia ondata di proteste popolari. Nelle elezioni del 1931 i partiti democratici e repubblicani ottennero un larghissimo successo, che indusse il re a lasciare il paese. Si formò così una Repubblica, destinata anch'essa - come si vedrà in seguito - a vita breve e travagliata.
Anche in Portogallo furono i militari a interrompere, nel 1926, l'esperienza di una fragile democrazia parlamentare. Ma fu un economista cattolico,
Antonio Oliveira de Salazar (ministro delle Finanze dal '28, presidente del Consiglio dal '32) ad assumere il ruolo di ispiratore e guida di un regime autoritario, clericale e corporativo che avrebbe dimostrato una notevole solidità, rimanendo in vita per quasi mezzo secolo.
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