26.2 La crisi della Repubblica di Weimar e l'avvento del nazismo
Nel novembre 1923, quando finì in prigione per aver tentato di organizzare un colpo di Stato a Monaco di Baviera (
23.9),
Adolf Hitler era un personaggio semisconosciuto, capo di una minuscola formazione politica - il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi - a metà tra il partito e il gruppo paramilitare, con un programma accesamente nazionalista e confusamente demagogico. Di lui si sapeva che era di origine austriaca, che aveva servito durante la guerra nell'esercito tedesco col grado di caporale guadagnandosi alcune decorazioni al valore, che aveva tentato senza successo di fare il pittore. Meno di dieci anni dopo, nel gennaio 1933, Hitler, leader di un partito che ormai rappresentava circa un terzo dell'elettorato tedesco, riceveva l'incarico di formare il governo. Per capire i motivi di questa irresistibile ascesa è necessario rifarsi alla grande crisi e ai suoi effetti sulla società tedesca.
Fino al '29, infatti, il Partito nazionalsocialista - o nazista, come veniva comunemente chiamato - rimase un gruppo minoritario e marginale, che si collocava al di fuori della legalità repubblicana, si serviva sistematicamente della violenza contro gli avversari politici e fondava la sua forza soprattutto su una robusta organizzazione armata: le SA (sigla di Sturm-Abteilungen, cioè "reparti d'assalto") comandate dal capitano dell'esercito Ernst Röhm. Dopo il fallimentare tentativo di Monaco, Hitler aveva cercato, sull'esempio di quanto aveva fatto Mussolini in Italia, di dare al partito un volto più "rispettabile". Aveva messo da parte le rivendicazioni di stampo anticapitalistico (riforma agraria, nazionalizzazione dei grandi trust) che figuravano nel programma nazista del '20, riuscendo così ad assicurarsi un certo sostegno finanziario da parte di alcuni ambienti della grande industria. Ma non aveva affatto rinunciato al nucleo centrale di quel programma, che prevedeva la denuncia del trattato di Versailles, la riunione di tutti i tedeschi in una nuova "grande Germania", l'adozione di misure discriminatorie contro gli ebrei, la fine del "parlamentarismo corruttore".
I suoi progetti a lungo termine Hitler li espose con molta chiarezza in un libro dal titolo Mein Kampf (La mia battaglia) scritto nei mesi del carcere, pubblicato nel '25 e destinato a diventare una sorta di testo sacro del nazismo. Al centro dei piani hitleriani c'era un'utopia nazionalista e razzista. Fervente antisemita fin dai tempi della giovinezza passata a Vienna, sostenitore di una concezione grossolanamente darwiniana della vita come continua lotta in cui solo i forti sono destinati a vincere, Hitler credeva nell'esistenza di una razza superiore e conquistatrice, quella ariana, progressivamente inquinatasi per la commistione con le razze "inferiori". I caratteri originari dell'arianesimo si erano per lui conservati solo nei popoli nordici, in particolare nel popolo tedesco, che avrebbe dunque dovuto dominare sull'Europa e sul mondo. Per realizzare questo sogno era necessario dapprima schiacciare i nemici interni: primi fra tutti gli ebrei, considerati, in quanto "popolo senza patria", i portatori del virus della dissoluzione morale, responsabili a un tempo dei misfatti del capitale finanziario e di quelli del bolscevismo, causa e simbolo vivente della decadenza della civiltà europea. Una volta ricostituita la propria unità in un nuovo Stato, attorno a un capo in grado di interpretare i bisogni profondi del popolo, i tedeschi avrebbero dovuto respingere le imposizioni di Versailles, recuperare i territori perduti ed espandersi verso est a danno dei popoli slavi, considerati anch'essi inferiori. La ricerca dello spazio vitale a oriente avrebbe permesso di far coincidere l'espansione territoriale con la crociata ideologica contro il comunismo.
Un programma estremista e guerrafondaio come quello delineato nel Mein Kampf trovò scarsi consensi nella Germania dell'età di Stresemann. Nelle elezioni del dicembre '24 i nazisti ottennero circa il 3% dei voti; in quelle del maggio '28 appena il 2,5%. Ma con lo scoppio della grande crisi lo scenario cambiò radicalmente. La maggioranza dei tedeschi, immiseriti o addirittura ridotti alla fame per la terza volta in poco più di dieci anni, perse ogni fiducia nella Repubblica e nei partiti che in essa si identificavano. A destra, le forze conservatrici (esercito, agrari, grande industria, alta burocrazia) si sentirono definitivamente sciolte da ogni vincolo di lealtà verso le istituzioni repubblicane e si proposero sempre più apertamente di cambiare le regole del sistema appoggiando le forze eversive, a cominciare dai nazisti. A sinistra, settori consistenti della classe operaia si staccarono dalla socialdemocrazia per avvicinarsi ai comunisti, che attaccavano la classe dirigente democratica con una virulenza non inferiore a quella dell'estrema destra, convinti che la rovina della Repubblica avrebbe spianato la strada alla rivoluzione.
In questa situazione i nazisti poterono uscire dal loro isolamento e far leva sulla paura della grande borghesia, sulla frustrazione dei ceti medi, sulla rabbia dei disoccupati. Ai suoi concittadini provati dalla crisi Hitler offriva non solo la prospettiva esaltante della riconquista di un primato della nazione tedesca, non solo l'indicazione rassicurante di una serie di capri espiatori cui addossare la responsabilità delle disgrazie del paese, ma anche l'immagine tangibile di una forza politica in grado di ristabilire l'ordine contro "traditori" e "nemici interni". Senza contare il fatto che l'adesione al nazismo offriva l'opportunità di entrare a far parte di un gruppo di "eletti", di una comunità compatta che forniva ai suoi membri, in cambio di una dedizione assoluta, protezione e sicurezza anche materiale.
L'agonia della Repubblica di Weimar cominciò nel settembre 1930, quando il cancelliere Brüning convocò nuove elezioni sperando di far uscire dalle urne una maggioranza favorevole alla sua politica di austerità (
25.4). Accadde invece che i nazisti ebbero uno spettacolare incremento (dal 2,5 al 18,3% dei voti), a spese soprattutto della destra tradizionale. I comunisti guadagnarono posizioni ai danni dei socialdemocratici (che rimasero comunque il partito più forte). L'aspetto più grave dei risultati stava nel fatto che, mentre le forze antisistema si ingrossavano, i partiti fedeli alla Repubblica - socialdemocratici, cattolici del Centro, democratici, tedesco-popolari - non disponevano più della maggioranza. Il ministero Brüning continuò a governare per altri due anni grazie all'appoggio concessogli, in mancanza di alternative, dalla Spd e soprattutto grazie al sostegno del presidente Hindenburg, che si valse sistematicamente dei poteri straordinari previsti dalla costituzione nei casi di emergenza. Ma in quei due anni le istituzioni parlamentari si indebolirono ulteriormente, mentre la situazione economica andò continuamente precipitando.
Nel 1932 la crisi raggiunse il suo apice. La produzione industriale calò del 50% rispetto al '28 e i senza lavoro raggiunsero i sei milioni (ciò significava che la disoccupazione toccava la metà delle famiglie tedesche). Frattanto i nazisti ingrossavano le loro file in modo impressionante (un milione e mezzo di iscritti, di cui quasi un terzo inquadrati nelle SA) e riempivano le piazze con comizi e cortei. Le città divennero teatro di scontri sanguinosi fra nazisti e comunisti, di agguati, di spedizioni punitive: nei soli mesi di luglio e agosto si registrarono più di 150 morti. Il dissesto economico e l'esplodere della violenza andarono di pari passo con il collasso del sistema politico. Due crisi di governo e tre drammatiche consultazioni elettorali tenute a pochi mesi di distanza l'una dall'altra non fecero che confermare la crescita delle forze eversive e l'impossibilità di formare una qualsiasi maggioranza "costituzionale".
Si cominciò, nel marzo 1932, con le elezioni per la presidenza della Repubblica. Per sbarrare la strada a Hitler, che aveva presentato la propria candidatura, i partiti democratici non trovarono di meglio che appoggiare la rielezione dell'ottantacinquenne maresciallo Hindenburg, capace di attirare i consensi di almeno una parte della destra. Hindenburg fu eletto con un margine abbastanza netto su Hitler (che ottenne comunque ben 13 milioni di voti, pari al 37%). Ma, una volta confermato nella carica, cedette alle pressioni dei militari e della grande industria, congedò il ministro Brüning e cercò una via d'uscita dalla crisi prendendo atto dello spostamento a destra dell'asse politico. A guidare il governo furono chiamati due uomini della destra conservatrice, privi di una propria base parlamentare: prima il cattolico Franz von Papen, esponente dell'aristocrazia terriera, poi il generale Kurt von Schleicher, consigliere personale del presidente.
Entrambi i tentativi si risolsero in un fallimento. Nelle due successive elezioni politiche che Papen fece convocare, nel luglio e nel novembre '32, nella speranza di procurarsi una maggioranza stabile, i nazisti si affermarono come il primo partito tedesco (37% dei voti in luglio, il doppio che nelle precedenti elezioni, e 33% in novembre). I gruppi conservatori, l'esercito, lo stesso Hindenburg finirono col convincersi che senza di loro non era possibile governare.
Il 30 gennaio 1933, Hitler fu convocato dal presidente della Repubblica e accettò di capeggiare un governo in cui i nazisti avevano solo tre ministeri su undici e in cui erano rappresentate tutte le più importanti componenti della destra. Gli esponenti conservatori credettero di aver ingabbiato Hitler (così come, una decina di anni prima, i liberali italiani si erano illusi di aver neutralizzato Mussolini) e di poter utilizzare il nazismo per un'operazione di pura marca conservatrice. Si sarebbero presto resi conto di aver sbagliato grossolanamente i loro calcoli.
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