26.11 L'Europa verso la catastrofe
Nel periodo in cui si combatté la guerra di Spagna, la marcia dell'Europa verso la catastrofe di un secondo conflitto generale subì una paurosa accelerazione. Il fattore scatenante dell'accresciuta tensione fu senza dubbio la politica della Germania hitleriana. Il comportamento arrendevole tenuto da Gran Bretagna e Francia in tutte le occasioni di confronto con le potenze fasciste convinse Hitler - che contava ormai sull'amicizia dell'Italia, consolidata dalla comune avventura spagnola e dalle conseguenze internazionali dell'impresa etiopica (
27.6) - di poter accelerare i tempi per la realizzazione del suo programma. Programma che prevedeva prima la distruzione dell'assetto europeo uscito da Versailles, con la riunione di tutti i tedeschi in un unico "grande Reich", poi l'espansione verso est ai danni della Russia.
I piani hitleriani non comportavano necessariamente una guerra contro le potenze occidentali, anche se non scartavano a priori questa eventualità. Al contrario, Hitler sperò fino all'ultimo di poter evitare uno scontro con l'Inghilterra, a patto naturalmente che l'Inghilterra lasciasse campo libero alle mire tedesche in Europa centro-orientale. In questa speranza fu indubbiamente incoraggiato dalla linea seguita dai conservatori inglesi, soprattutto a partire dal maggio '37, quando la guida del governo fu affidata a
Neville Chamberlain, sostenitore convinto di quella che allora fu chiamata politica dell'appeasement: una politica basata sul presupposto che fosse possibile "ammansire" Hitler accontentandolo nelle sue rivendicazioni più "ragionevoli" e risarcendo in qualche modo la Germania del duro trattamento subito a Versailles. Il presupposto era fondamentalmente sbagliato, visto che i programmi di Hitler non erano affatto "ragionevoli". Ma l'idea dell'appeasement riscosse ugualmente notevole successo perché rispondeva a una tendenza diffusa nella classe dirigente e nell'opinione pubblica inglese, incline al pacifismo (anche i laburisti, che contestavano l'appeasement in nome dell'antifascismo, si opponevano poi a qualsiasi politica di riarmo) e poco convinta, nel fondo, dell'equità del trattato di Versailles. La più coerente opposizione alla politica di Chamberlain venne da un'esigua minoranza di conservatori che facevano capo a Winston Churchill. Questi sostenevano che l'unico modo per fermare Hitler fosse quello di opporsi con decisione a tutte le sue pretese, anche a costo di affrontare subito una guerra.
Quanto alla Francia, che era stata negli anni '20 la prima garante dei trattati di Versailles, essa fu attraversata in questo periodo, oltre che da profonde lacerazioni politiche, da una sorta di crisi morale che ne minò la capacità di reazione. In Francia la paura della Germania era per ovvi motivi più sentita che in Gran Bretagna. Ma ancora più forte era la paura di una nuova guerra: troppo recente era il trauma del primo conflitto mondiale che ai francesi era costato un prezzo in vite umane superiore, in proporzione, a quello di qualsiasi altro popolo. Protetti dall'"inespugnabile" linea Maginot (
23.10), i francesi si chiedevano se valesse la pena rischiare una nuova guerra per difendere la Russia comunista o i lontani alleati dell'Est europeo. Ad alimentare queste perplessità concorrevano sia il tradizionale pacifismo dei socialisti sia l'aperto filofascismo di una destra tanto spaventata dal Fronte popolare da dimenticare le sue tradizioni nazionaliste ("meglio Hitler che Blum" fu lo slogan di moda in quegli anni negli ambienti reazionari). Così la Francia, che restava almeno sulla carta la prima potenza militare d'Europa, si adattò a una politica timida e oscillante, sostanzialmente subalterna a quella della Gran Bretagna. E ciò consentì alla Germania di cogliere una serie di grossi successi senza nemmeno dover mettere alla prova le sue forze armate ancora in fase di ricostituzione.
Il primo successo clamoroso Hitler lo ottenne nel marzo 1938 con l'annessione (Anschluss) dell'Austria al Reich tedesco. Era questo un obiettivo che il Führer, austriaco di nascita, aveva particolarmente a cuore e che aveva già tentato di raggiungere nell'estate del '34 (
26.9). Allora ne era stato impedito dalla decisa reazione delle potenze occidentali, in particolare dell'Italia. Ma quando, all'inizio del '38, Hitler rilanciò la questione dell'Anschluss, mobilitando i nazisti austriaci e costringendo alle dimissioni il cancelliere Schuschnigg, Mussolini rinunciò a opporsi alle pretese tedesche. Né alcuna reazione venne dal governo inglese, che considerava la questione austriaca fuori dalla sua sfera di interessi e riteneva non del tutto infondata la rivendicazione dell'Anschluss (l'Austria era un paese di lingua tedesca, che già in passato si era mostrato favorevole alla prospettiva dell'unificazione). L'11 marzo 1938 il capo dei nazisti austriaci Seyss-Inquart, nuovo capo del governo, chiese ufficialmente l'intervento dell'esercito tedesco "per salvare il paese dal caos". Il giorno seguente le truppe del Reich procedettero all'occupazione del territorio austriaco. Un mese dopo, un plebiscito sanzionò a schiacciante maggioranza l'avvenuta unificazione.
La questione austriaca si era appena chiusa, e già Hitler metteva sul tappeto una nuova rivendicazione, anch'essa fondata su motivi etnici: quella riguardante i sudeti, ossia gli oltre tre milioni di tedeschi che vivevano entro i confini della Cecoslovacchia. Anche in questo caso Hitler agì mobilitando i nazisti locali e spingendoli a formulare richieste sempre più pesanti all'indirizzo del governo ceco: il quale, in un primo tempo, si mostrò disposto alla concessione di più larghe autonomie alla comunità tedesca. Ma questo non bastò ad accontentare Hitler, che in realtà mirava apertamente all'annessione della regione dei Sudeti e alla distruzione dello Stato cecoslovacco: uno Stato democratico, industrializzato, abbastanza forte militarmente e legato da trattati di alleanza alla Francia e all'Urss. Un concreto sostegno militare alla Repubblica ceca da parte dei suoi alleati era però problematico, in quanto la Cecoslovacchia non confinava né con la Francia né con la Russia (ed era invece circondata da Stati ostili come la Polonia e l'Ungheria). Inoltre l'Urss era tenuta a intervenire solo se la Francia avesse fatto altrettanto. Ma l'atteggiamento francese era sempre condizionato da quello britannico. E il governo inglese si mostrò ancora una volta propenso ad accontentare Hitler in quella che avrebbe dovuto essere la sua "ultima richiesta". Due volte, nel settembre del '38, Chamberlain volò in Germania per sottoporre invano a Hitler ipotesi di compromesso.
Alla fine di settembre, quando ormai l'Europa si stava preparando a una guerra che sembrava inevitabile, Hitler accettò la proposta di un incontro fra i capi di governo delle grandi potenze europee (Russia esclusa), lanciata in extremis da Mussolini su suggerimento dello stesso Chamberlain. Nell'incontro, che si svolse a Monaco di Baviera il 29-30 settembre 1938, Chamberlain e il primo ministro francese Daladier accettarono un progetto presentato dall'Italia che in realtà accoglieva quasi alla lettera le richieste tedesche e prevedeva l'annessione al Reich dell'intero territorio dei Sudeti. Ai cecoslovacchi, che non erano stati ammessi alla conferenza e nemmeno consultati, non restò che accettare un accordo che li lasciava alla mercé della Germania e apriva la strada al dissolvimento della loro Repubblica. I sovietici, anch'essi tenuti fuori dal tavolo delle trattative, capirono di non poter contare sulla solidarietà delle potenze occidentali in caso di aggressione tedesca e ne trassero le conseguenze, abbandonando la politica di alleanza con le democrazie adottata negli ultimi anni.
Chamberlain, Daladier e lo stesso Mussolini furono accolti, al rientro in patria, da imponenti manifestazioni di entusiasmo popolare e acclamati come salvatori della pace. Ma quella salvata a Monaco era una pace fragile e precaria, pagata per giunta a caro prezzo. Accordandosi con Hitler sulla testa della Cecoslovacchia, le potenze democratiche avevano distrutto, assieme alle ultime tracce del principio di sicurezza collettiva, la loro stessa credibilità e avevano aperto la strada a nuove aggressioni. Il commento più appropriato agli accordi di Monaco fu quello di Winston Churchill: "Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra".
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