28.3 L'Impero britannico e l'India
Fra le potenze coloniali, la Gran Bretagna fu quella che prima di tutte comprese la necessità di ridimensionare la sua posizione imperiale. Mentre la Francia represse con durezza i fermenti indipendentisti che si manifestarono negli anni '20 e '30 sia nei territori nordafricani sia in Indocina (e nello stesso modo si comportarono le potenze coloniali minori: Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo e la stessa Italia), la Gran Bretagna oppose una resistenza più elastica, orientandosi fin dagli anni '20 verso un allentamento dei vincoli fra la madrepatria e i territori d'oltremare. Questa tendenza si manifestò, come si è visto, nell'area medio-orientale e portò, oltre che alla creazione dei regni arabi di Iraq e Transgiordania (e, più tardi, dell'Arabia Saudita), alla rinuncia al protettorato inglese sull'Egitto: il più importante e il più popoloso fra i paesi del Nord Africa fu trasformato nel '22 in regno autonomo e ottenne nel '36 la piena indipendenza, pur restando nell'orbita dell'Inghilterra, che conservò a ogni buon conto il controllo del Canale di Suez.
Un'altra tappa nel processo di graduale smobilitazione dell'Impero britannico fu rappresentata dalla conferenza imperiale che si tenne a Londra nel 1926 e nella quale i dominions bianchi (Canada, Sudafrica, Australia) - che già godevano di una condizione di semi-indipendenza e avevano partecipato con proprie delegazioni alla conferenza della pace - furono riconosciuti come "comunità autonome ed eguali in seno all'Impero", unite solo dal comune vincolo di fedeltà alla corona d'Inghilterra e "liberamente associate come membri del
Commonwealth britannico": ossia di quella libera federazione fra Stati che sarebbe servita anche in futuro ad assicurare il mantenimento di una serie di legami economici e istituzionali fra la Gran Bretagna e le sue ex colonie.
Il paese in cui il processo di emancipazione fu più contrastato e drammatico fu senza dubbio l'India: la più importante, sul piano economico e strategico, fra le colonie britanniche, quella il cui controllo era ancora considerato essenziale da una parte della classe dirigente inglese, ma anche quella in cui le aspirazioni all'indipendenza si erano fatte sentire maggiormente già prima della grande guerra. Durante il conflitto mondiale il governo inglese aveva premiato il lealismo manifestato dalla classe dirigente locale in occasione della guerra, promettendo ufficialmente, nel novembre 1917, "una crescente associazione degli indiani a ogni ramo dell'amministrazione e un graduale sviluppo di forme di autogoverno, in vista della progressiva realizzazione di un governo responsabile in India".
Queste promesse, formulate non a caso nel momento più difficile della guerra e successivamente attuate in modo lento e parziale, non bastarono però a bloccare lo sviluppo del movimento nazionalista. Quando, nell'aprile '19, nella città di Amritsar, le truppe inglesi repressero sanguinosamente una manifestazione popolare di protesta (i morti furono quasi 400), l'abisso fra colonizzatori e colonizzati divenne incolmabile. In seno al Congresso nazionale indiano (
19.3) - trasformatosi nel '20 in un vero e proprio partito politico - e in genere fra la maggioranza della popolazione di religione induista, riscosse sempre maggiori consensi la predicazione di un nuovo e prestigioso leader indipendentista,
Mohandas Karamchand Gandhi. Propagandando e attuando nuove forme di lotta, basate sulla resistenza passiva, sulla non-violenza e sul rifiuto di qualsiasi collaborazione con i dominatori, e coniugando la battaglia per l'indipendenza con quella per la rottura del sistema delle caste, Gandhi acquistò in breve tempo un'immensa popolarità e fece del nazionalismo indiano un autentico movimento di massa.
Alla crescita del movimento indipendentista - che faceva proseliti anche nella forte minoranza musulmana - gli inglesi risposero alternando gli interventi repressivi alle concessioni. Già nel 1921, col Government of India Act, fu dato maggior spazio agli indiani nei ranghi dell'amministrazione, fu attuato un limitato decentramento e fu consentita a una ristretta minoranza della popolazione l'elezione di propri organismi rappresentativi. Nel 1935 il diritto di voto fu esteso (al 15% circa della popolazione) e furono allargati gli spazi di autonomia delle singole province. Questi provvedimenti non valsero a fermare la marcia dell'India verso la piena indipendenza (cui si sarebbe giunti, come vedremo, dopo la fine del secondo conflitto mondiale); ma almeno offrirono al movimento nazionale indiano dei canali legali attraverso cui esprimersi e combattere le proprie battaglie.
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