29.7 L'attacco all'Unione Sovietica
Con l'attacco tedesco all'Unione Sovietica, all'inizio dell'estate 1941, la guerra entrò in una nuova fase. Un altro vastissimo fronte si aprì in Europa orientale. La Gran Bretagna non fu più sola a combattere. Lo scontro ideologico si semplificò e si radicalizzò col venir meno dell'anomala intesa fra nazismo e regime sovietico. Il movimento comunista internazionale, schierato dopo l'agosto '39 su un'ambigua posizione di condanna dei due "opposti imperialismi", si riconvertì all'alleanza con la democrazia e alla lotta contro il fascismo.
Che l'Urss costituisse da sempre il principale obiettivo delle mire espansionistiche di Hitler non era un mistero per nessuno, nemmeno per i sovietici. Stalin si illuse tuttavia che Hitler non avrebbe mai aggredito la Russia prima di aver chiuso la partita con la Gran Bretagna. Così, quando il 22 giugno 1941 l'offensiva tedesca (denominata in codice operazione Barbarossa) scattò su un fronte lungo 1600 chilometri, dal Baltico al Mar Nero, i russi furono colti impreparati; e questa impreparazione - aggravata dal fatto che le grandi purghe del '37 avevano privato l'Armata rossa dei suoi migliori comandanti - facilitò all'inizio il compito degli aggressori.
In due settimane le armate del Reich penetrarono in territorio sovietico per centinaia di chilometri e misero fuori combattimento 600.000 avversari. L'offensiva - cui prese parte anche un corpo di spedizione italiano inviato in tutta fretta da Mussolini, ansioso di inserirsi nella crociata antibolscevica - continuò per tutta l'estate e si sviluppò con successo su due direttrici principali: a nord, attraverso le regioni baltiche, e a sud, attraverso l'Ucraina, con l'obiettivo di raggiungere le zone petrolifere del Caucaso. Ma l'attacco decisivo verso Mosca fu sferrato troppo tardi, all'inizio di ottobre, e fu bloccato a poche decine di chilometri dalla capitale, anche per il sopraggiungere del maltempo, che rese impraticabile la maggior parte delle strade e rallentò il movimento degli automezzi, favorendo la disperata resistenza dei russi.
In dicembre i sovietici lanciavano la loro prima controffensiva, allontanando la minaccia da Mosca. All'inizio dell'inverno, i tedeschi erano ancora padroni di territori vastissimi e importantissimi dal punto di vista economico (l'Ucraina, la Russia Bianca, le regioni baltiche). Ma Hitler aveva mancato l'obiettivo di mettere fuori causa l'Urss ed era costretto a tenere il grosso del suo esercito immobilizzato nelle pianure russe, alle prese con un terribile inverno e con una resistenza sempre più accanita. Guidata personalmente da Stalin - che seppe mobilitare il sentimento patriottico del popolo russo - la resistenza dei sovietici risultò infatti più efficace del previsto. Attingendo a un serbatoio umano che sembrava inesauribile e riorganizzando la produzione industriale nelle regioni a est del Volga, l'Urss riusciva infatti a compensare le spaventose perdite subite (3 milioni di uomini, 20.000 carri armati e 15.000 aerei nei primi tre mesi di guerra).
Anche la guerra meccanizzata si trasformava così in una guerra d'usura, in cui l'elemento decisivo era costituito dalla capacità di compensare rapidamente il logorio degli uomini e dei materiali. In una guerra del genere - così com'era accaduto nel primo conflitto mondiale - la Germania era destinata a perdere il suo vantaggio iniziale, dovuto alla superiorità tecnica e strategica. Tanto più nel momento in cui la massima potenza industriale del mondo si schierava a fianco di Gran Bretagna e Urss.
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