31.2 L'emancipazione dell'Asia
Il continente asiatico fu il primo ad affrancarsi dal dominio coloniale, precedendo l'Africa di quasi dieci anni. Il motivo di ciò, più che nell'impatto diretto delle vicende belliche, sta nel carattere relativamente più avanzato dell'organizzazione politica e della struttura sociale. L'Asia era stata sede di antiche e raffinate civiltà e di religioni millenarie, era ricca di un importante patrimonio etico-filosofico e legata a un sistema di valori e di costumi che aveva saputo recepire gli influssi europei senza perdere la propria identità; era anche forte di tradizioni nazionali consolidate da antichissima data. Le stesse campagne, se scontavano il peso di una grave arretratezza tecnica e di un regime fondiario di stampo per lo più feudale, erano comunque a uno stadio più avanzato rispetto ai "micro-mondi" primitivi delle società tribali africane. La più lunga consuetudine di contatti con gli europei aveva inoltre favorito la formazione di élite locali educate nelle università occidentali, ma profondamente legate al proprio retroterra culturale, che presero la guida del processo di emancipazione e poi dei governi dei rispettivi paesi.
Tale fu, innanzitutto, il caso dell'India che nella storia della decolonizzazione occupa un posto preminente e per molti aspetti esemplare. Qui, come già abbiamo visto, la crescita del movimento nazionalista si era legata all'affermazione del Partito del congresso, espressione della borghesia indiana, e soprattutto all'influenza politica e morale di Gandhi che, con una serie di campagne di disobbedienza civile e di boicottaggio delle istituzioni inglesi, aveva ottenuto alcune importanti concessioni, come la costituzione federale del '35 (
28.3). Nel corso del conflitto mondiale, il Partito del congresso - guidato, dal '41, da
Javaharlal Nehru, uno dei più stretti collaboratori di Gandhi - promosse un movimento di resistenza non violenta alla guerra, strappando agli inglesi la promessa di concedere all'India lo status di dominion, che equivaleva a una indipendenza di fatto.
A guerra finita, la Gran Bretagna aprì i negoziati per il trasferimento della sovranità. Mentre Gandhi si batteva per uno Stato unitario laico dove potessero convivere indù e musulmani, questi ultimi reclamarono la separazione, che fu infine accordata dagli inglesi dopo un lungo e faticoso negoziato e dopo gravi disordini fra le due comunità. Nell'agosto 1947 videro così la luce due Stati: l'Unione Indiana, a maggioranza indù, e il Pakistan musulmano, geograficamente diviso in due tronconi situati alle opposte estremità della penisola indiana (quello orientale si sarebbe a sua volta separato nel 1971, prendendo il nome di Bangladesh). La creazione dei due Stati non impedì il moltiplicarsi dei tumulti e degli scontri fra le due comunità, che assunsero a tratti le proporzioni di una vera e propria guerra. L'epopea di un movimento di liberazione nazionale affermatosi con mezzi pacifici si concluse così con oltre 100.000 morti e con il trasferimento tra i due Stati di 17 milioni di persone: senza contare le due guerre che India e Pakistan combatterono successivamente (nel '48 e nel '65) per il controllo della regione del Kashmir, musulmano ma assegnato all'Unione Indiana. Lo stesso Gandhi fu vittima di quel clima di violenza e di odio religioso che tanto aveva combattuto: giudicato troppo arrendevole verso i musulmani, fu assassinato da un estremista indù nel gennaio 1948.
Il primo ministro Nehru rimase fino alla sua morte (1964) alla guida di un paese che si era guadagnato un notevole prestigio internazionale (diventando, come vedremo, uno dei portabandiera del "non allineamento"), ma era sempre gravato da immensi problemi interni: la povertà cronica delle campagne; l'eccezionale sovraccarico demografico (in trent'anni la popolazione dell'Unione Indiana è quasi raddoppiata, passando dai 360 milioni del '51 ai 683 dell'81); le tensioni fra i diversi gruppi etnici e religiosi (tendenze separatiste si sono manifestate anche di recente nella setta dei sikh, concentrata nella regione del Punjab); la permanenza di abiti mentali arcaici e di divisioni legate al vecchio sistema delle caste. Problemi che avrebbero afflitto il paese anche negli anni '70 e '80, nonostante le prudenti iniziative riformiste della classe di governo e nonostante un relativo sviluppo economico e tecnologico che ha permesso di risolvere (con l'apporto di cospicui aiuti internazionali) i più drammatici problemi alimentari. Tuttavia, malgrado alcuni aspetti autoritari e personalistici del potere esercitato prima da Nehru, poi da sua figlia Indira Gandhi (primo ministro dal '66 al '77 e dall'81 all'84, quando morì per mano di un militante sikh), le istituzioni democratico-parlamentari nate con l'indipendenza hanno complessivamente retto al confronto con i problemi del paese. Non altrettanto si può dire per la maggioranza degli altri Stati del continente, a cominciare dal Pakistan, a lungo governato da dittature militari (1958-72 e 1977-88).
Nel Sud-est asiatico, il processo di emancipazione e gli sviluppi successivi furono condizionati dal confronto fra le forze nazionaliste (conservatrici o progressiste) e i movimenti comunisti, che avevano, come in Cina, la loro base principale nelle campagne (cronicamente sovrappopolate e oppresse da regimi fondiari di stampo feudale) e traevano i loro quadri dagli intellettuali delle città. L'esito del confronto fu diverso a seconda dei paesi. In Birmania e in Malesia, indipendenti rispettivamente nel '48 e nel '57, prevalsero le forze nazionaliste e la guerriglia comunista fu duramente sconfitta. In Indonesia, il movimento nazionalista guidato da Ahmed Sukarno ottenne l'indipendenza nel '49 e seguì una politica di non allineamento e di emancipazione economica dai capitali stranieri, resistendo alle pressioni contrapposte della destra militare e dei comunisti. Nel 1965, a seguito di un fallito tentativo rivoluzionario di questi ultimi, risoltosi con un autentico massacro di militanti del partito, Sukarno fu costretto a cedere il potere ai militari. Nel Regno di Thailandia (l'ex Siam, unico fra gli Stati della regione ad aver sempre mantenuto l'indipendenza) le forze moderate mantennero sempre il potere, in un alternarsi di regimi militari e di governi civili. Nelle Filippine, cui gli Stati Uniti concessero l'indipendenza nel 1946, conservando tuttavia ampi privilegi economici e basi militari, governi di carattere sempre più autoritario (come quello di Ferdinand Marcos, al potere dal '65 all'86) dovettero fronteggiare la guerriglia condotta dai comunisti e dalle forze separatiste musulmane.
Una netta prevalenza dei comunisti si ebbe invece negli Stati sorti dalla dissoluzione dell'impero francese in Indocina. Nel Vietnam (che comprendeva gli antichi regni di Cocincina, Annam e Tonchino) i comunisti, sotto la guida del loro leader
Ho Chi-minh, avevano assunto un ruolo di preminenza nella Lega per l'indipendenza (Vietminh), che era stata costituita nel 1941 con la partecipazione di tutte le forze patriottiche e aveva condotto, durante la guerra, la lotta contro i giapponesi e contro i francesi di Vichy. A guerra finita, nel 1945, Ho Chi-minh proclamò ad Hanoi la Repubblica democratica del Vietnam. Ma i francesi non riconobbero il nuovo Stato e rioccuparono la parte meridionale del paese. Nel 1946, dopo un illusorio tentativo di accordo, cominciò una lunga e aspra guerra fra gli occupanti francesi e le forze del Vietminh che, sotto la guida del generale Giap, riuscirono a logorare gli avversari con un impiego magistrale della strategia della guerriglia. La guerra si concluse solo nel maggio 1954, quando la piazzaforte di Dien Bien Phu, dove era concentrato il grosso delle forze francesi, fu costretta a capitolare dopo tre mesi di assedio. Gli Accordi di Ginevra del luglio dello stesso anno sanzionarono il ritiro dei francesi da tutta la penisola indocinese - dunque anche dal Laos e dalla Cambogia - e la divisione provvisoria del Vietnam in due Stati: uno comunista al Nord, l'altro filo-occidentale al Sud. In realtà, come già era accaduto in Corea, la crisi indocinese veniva ormai a inserirsi nel contrasto Est-Ovest, portando i germi di un conflitto di più ampie proporzioni.
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