31.7 Dipendenza economica e instabilità politica in America Latina
I paesi dell'America Latina, la cui indipendenza politica era da tempo consolidata, richiedono un discorso diverso da quello fatto finora. I problemi che lì si ponevano alla fine della seconda guerra mondiale derivavano da uno sviluppo socio-economico che era già in parte avviato, ma che scontava ancora il peso di una diffusa arretratezza e di una forte dipendenza dagli Stati Uniti. L'influenza degli Usa, che fin dagli anni '20 aveva soppiantato quella britannica, giocò in modo diverso a seconda delle realtà locali e degli interessi economici coinvolti. In alcuni casi, come quello del Messico, i capitali Usa concorsero, pur con inevitabili condizionamenti, alla crescita industriale. In altri casi, soprattutto nei paesi più arretrati del Centro America - le cui economie, basate sulle monoculture agricole, erano dominio riservato delle grandi corporations come la United Fruit Company - i gruppi di interesse statunitensi e lo stesso governo di Washington si trovarono alleati alle oligarchie terriere locali nel combattere ogni forma di rinnovamento.
In generale, gli Stati Uniti si arrogarono una funzione di tutela sul continente, sia con interventi diretti più o meno mascherati, sia con un rilancio della politica "panamericana". Sotto l'impulso degli Usa, infatti, fu creata nel 1948 (in piena guerra fredda) l'Organizzazione degli Stati americani, che doveva realizzare una più stretta cooperazione economica fra i paesi del continente, ma aveva anche un preciso scopo politico: impedire che l'aggravarsi dell'instabilità politica e il riacutizzarsi delle tensioni sociali aprissero spazi alla penetrazione comunista.
Gli anni del secondo conflitto mondiale - e, in una certa misura, anche quelli della guerra in Corea - furono anni di sviluppo economico per i paesi latino-americani, che si avvantaggiarono dell'aumento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli e riuscirono anche a far crescere le industrie nazionali, profittando delle diminuite capacità esportative degli Stati Uniti e delle altre potenze occidentali. Questa fase di sviluppo - che fu peraltro limitata e si interruppe nei primi anni '50 - rafforzò i nuclei di proletariato industriale (e gli stessi sindacati operai), ma vide soprattutto la progressiva crescita del ceto medio urbano: un ceto medio di sentimenti nazionalistici, avverso alle oligarchie tradizionali, diviso fra le aspirazioni al rinnovamento e l'esigenza di garantirsi contro le spinte dal basso, e dunque portato ad allearsi ora con le classi più povere, ora con gli strati più abbienti. Questa crescente centralità dei ceti medi, in un periodo caratterizzato da profondi squilibri e tensioni, si concretò in una serie di soluzioni politiche di diverso segno, oscillanti fra liberalismo, populismo e autoritarismo.
Di stampo populista-autoritario fu il regime instaurato nel 1946 in Argentina dal colonnello
Juan Domingo Perón. Attuando una politica di incentivi all'industria, di aumenti salariali, di lotta contro i monopoli e di nazionalizzazione dei servizi pubblici, Perón si guadagnò un largo consenso sia fra i ceti medi sia fra le classi popolari, soprattutto fra i sindacati operai. Il riformismo sociale di Perón, condito da una forte dose di demagogia, si accompagnava a una prassi politica autoritaria, che ricordava per molti aspetti quella dei regimi fascisti: violenze contro le opposizioni, censura sulla stampa, culto carismatico della figura del presidente e di quella di sua moglie Evita. Sul piano economico, la politica peronista, confusa nella concezione e maldestra nell'esecuzione, ebbe successo fino a che durò la congiuntura favorevole del periodo postbellico. Dall'inizio degli anni '50, si assisté a un continuo aumento dell'inflazione e a una crisi della produzione agricola, danneggiata dal calo delle esportazioni. Osteggiato dai conservatori, dai vertici delle forze armate e dalle gerarchie ecclesiastiche, avversato alla fine anche dai ceti medi colpiti dall'inflazione, Perón fu rovesciato nel 1955 da un colpo di Stato militare e costretto ad abbandonare l'Argentina. Nei dieci anni successivi, i militari lasciarono la guida del paese a governi civili, per lo più a direzione radicale, che tentarono senza troppa fortuna di risanare l'economia del paese. Nel 1966, profilandosi la minaccia di una vittoria elettorale dei peronisti, i generali attuarono un nuovo colpo di Stato, instaurando una ferrea dittatura di destra.
Simili per molti aspetti a quelle vissute dall'Argentina furono le vicende del Brasile, dove si era sviluppato, negli anni '30, il primo e più importante esperimento populista dell'America Latina, quello di Getulio Vargas (
28.6). Rovesciato nel '45 dai militari, Vargas tornò al potere nel 1950, ma si scontrò con difficoltà (crisi economica, inflazione) analoghe a quelle incontrate da Perón in Argentina. Nel 1954, nuovamente esautorato dai militari, Vargas si suicidò. I suoi successori tentarono in vario modo di riprenderne l'eredità, assumendo una linea di "non allineamento" in politica estera e rilanciando i progetti di industrializzazione e modernizzazione (del '60 è la nascita della nuova capitale, Brasilia). Ma non riuscirono a svincolare il Brasile dai rapporti di dipendenza commerciale con l'estero, né a cancellare i gravissimi squilibri sociali di un paese immenso: dove più di metà della popolazione era ancora occupata in un'agricoltura spesso primitiva e intere regioni (soprattutto quelle del Nord-est) versavano in condizioni di tremenda arretratezza. Nel 1964, un nuovo colpo di Stato appoggiato dagli Stati Uniti riportò al potere i militari, che imposero un regime di dura repressione interna e sperimentarono un nuovo modello di sviluppo, basato sul blocco dei conflitti sociali e sull'incoraggiamento ai capitali stranieri. Uno sviluppo in effetti si realizzò (in questo periodo l'economia brasiliana crebbe con tassi vicini al 10% annuo), ma al prezzo di un ulteriore aggravamento degli squilibri sociali.
Negli anni '50 e '60, anche gli altri Stati del Sud America soffrirono di un'accentuata instabilità politica. Regimi militari si affermarono in Venezuela e in Colombia. In Paraguay cominciò nel '54 la lunga dittatura del generale Stroessner. In Bolivia il laburista Victor Paz Estenssoro, che aveva nazionalizzato le compagnie minerarie straniere, fu rovesciato dall'esercito nel '64. In Perù il potere fu assunto nel '68 da militari di orientamento populista e riformista. I soli paesi in cui le istituzioni democratiche tennero, sia pur fra molte difficoltà, furono l'Uruguay, il Cile e soprattutto il Messico, dove la stabilità politica era assicurata dal dominio incontrastato del Partito rivoluzionario istituzionale, custode dei valori della rivoluzione del 1910.
In un quadro di generale debolezza delle forze di sinistra, assunse enorme rilievo la clamorosa svolta che si realizzò a Cuba, dove la dittatura reazionaria di Fulgencio Batista fu rovesciata nel gennaio 1959, dopo una guerriglia iniziata tre anni prima sulle montagne della Sierra Maestra, da un movimento rivoluzionario guidato da
Fidel Castro. Schierato inizialmente su posizioni democratico-riformiste, Castro avviò subito una riforma agraria che colpiva direttamente il monopolio esercitato dalla United Fruit sulla coltivazione della canna da zucchero, principale risorsa dell'isola. Gli Stati Uniti, che pure non avevano osteggiato la rivoluzione e avevano prontamente riconosciuto il nuovo regime, assunsero a questo punto un atteggiamento ostile. Castro si rivolse allora all'Urss (che si impegnò ad acquistare lo zucchero cubano a prezzi molto superiori a quelli del mercato internazionale), sfidando il boicottaggio economico americano e rompendo le relazioni diplomatiche con gli Usa. Nel giro di pochi anni, il regime cubano si orientò sempre più decisamente in senso socialista. L'economia fu in gran parte statizzata e fu istituito un regime a partito unico.
Le vicende cubane assunsero subito una portata che andava ben al di là di quella di un qualsiasi rivolgimento politico in un piccolo Stato del Centro America. Per la prima volta, in un continente sotto tutela nordamericana e in un paese vicinissimo agli Stati Uniti, si affermava un regime che, muovendo da posizioni radicali e nazionaliste, operava una netta scelta di campo in senso marxista e filosovietico e che mirava apertamente a esportare il suo modello rivoluzionario nel resto dell'America Latina e in tutto il Terzo Mondo. Uno dei più stretti collaboratori di Castro, l'argentino Ernesto "Che" Guevara, si impegnò in prima persona nel vano tentativo di suscitare "fuochi" di guerriglia in tutta l'America Latina e fu catturato e ucciso nel 1967 dai militari in Bolivia, dove cercava di organizzare un movimento rivoluzionario. Alla sfida politica e ideologica di Cuba gli Stati Uniti risposero da un lato tentando, senza successo, di soffocare il regime castrista (
33.2), dall'altro lanciando, nel '61, la cosiddetta Alleanza per il progresso: un programma di aiuti ai paesi latinoamericani, che non bastava però a compensare lo strapotere economico esercitato dagli Usa su buona parte del continente.
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