33.6 L'Europa occidentale negli anni del benessere
Per le democrazie dell'Europa occidentale, gli anni '60 e i primi anni '70 rappresentarono un periodo di complessiva prosperità - nonostante un certo rallentamento dello sviluppo fra il '63 e il '67 - e di importanti mutamenti politici. La crescita economica si tradusse in consistenti progressi nel tenore di vita della popolazione, con conseguenze rilevanti sulla mentalità e sul costume, soprattutto delle generazioni più giovani (come si vedrà meglio nel prossimo capitolo).
In Italia, in Germania occidentale e in Gran Bretagna, questa fase coincise con l'entrata al governo dei socialisti, da soli o in coalizione con altre forze. In Francia invece - nonostante i progressi dell'opposizione di sinistra e l'improvvisa ventata di contestazione del '68 (
34.7) - i gruppi di obbedienza gaullista mantennero la guida del governo. L'avrebbero mantenuta, con le presidenze di Georges Pompidou e di Valéry Giscard d'Estaing, anche dopo l'uscita di scena di De Gaulle, che, avendo visto sconfitto in un referendum un suo progetto di riforma delle amministrazioni locali, si dimise nell'agosto 1969.
In Germania federale il quasi-monopolio governativo dei cristiano-democratici si interruppe nel 1966, quando il partito di maggioranza, dovendo affrontare una congiuntura economica che, per la prima volta dalla nascita della Repubblica, presentava qualche segno di ristagno, e non trovando un accordo coi liberali, formò una grande coalizione insieme ai socialdemocratici guidati dall'ex borgomastro di Berlino Ovest
Willy Brandt. Il governo di coalizione dovette fronteggiare da un lato una temporanea reviviscenza della destra neonazista, dall'altro l'ondata di contestazione giovanile del '68. Nel 1969, placatasi la contestazione studentesca e con l'economia in netta ripresa, i socialdemocratici ruppero la "grande coalizione" e si allearono con i liberali, in alternativa ai cristiano-democratici.
La stagione dei governi socialdemocratico-liberali - che si sarebbe prolungata per un quindicennio e avrebbe coinciso con un periodo di crescente prosperità e di notevoli progressi in campo sociale - si caratterizzò, all'inizio, soprattutto per una nuova linea di politica estera, impersonata da Brandt e dal ministro degli Esteri Scheel. Una politica che tendeva a una normalizzazione nei rapporti fra la Germania federale e i paesi del blocco comunista e che, pur restando all'interno dell'ortodossia atlantica, riproponeva implicitamente il problema di una futura riunificazione fra le due Germanie attraverso un graduale superamento dei blocchi. Questa "politica orientale" (Ostpolitik) si concretò nell'instaurazione di rapporti diplomatici coi paesi comunisti, nel riconoscimento, sancito da trattati con la Polonia e con l'Urss, dei confini fissati dopo la seconda guerra mondiale e in un primo scambio ufficiale di contatti con i tedeschi dell'Est.
Più sfortunata fu l'esperienza di governo dei laburisti inglesi, tornati al potere con Harold Wilson, nel novembre 1964. Trovatosi a gestire una congiuntura economica difficile e costretto quindi ad attuare un'impopolare politica di austerità, il governo Wilson dovette anche fronteggiare il riacutizzarsi della mai risolta questione irlandese. Nell'Ulster (ossia l'Irlanda del Nord, rimasta nel Regno Unito dopo la concessione dell'indipendenza al resto dell'isola), la minoranza cattolica, che costituiva la parte più povera della popolazione, diede vita, alla fine degli anni '60, a una serie di violente agitazioni. In queste agitazioni, che spesso sconfinavano in episodi di terrorismo e di guerriglia urbana, la rivendicazione dell'unità irlandese si mescolava alla protesta sociale.
Le difficoltà economiche e politiche, che si accompagnarono all'abbandono degli ultimi resti dell'Impero (Malta, Singapore, Aden), ebbero l'effetto di attenuare la riluttanza della classe dirigente e dell'opinione pubblica, soprattutto di parte laburista, nei confronti dell'adesione britannica alla Comunità europea. Nel '67 il governo Wilson - sotto la pressione degli ambienti imprenditoriali - si convertì alla causa europea e aprì un difficile negoziato che si concluse solo nel 1972 (dopo che i conservatori erano tornati al potere) con l'ingresso della Gran Bretagna (insieme a Irlanda e Danimarca), nella Cee. Giunta alla vigilia di una crisi economica internazionale, l'adesione inglese al Mercato comune non sarebbe stata però sufficiente a risolvere i problemi dell'economia britannica, né a rilanciare, com'era negli auspici degli europeisti, il processo di integrazione politica fra gli Stati del vecchio continente.
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