34. La società del benessere
34.1 Il boom dell'economia
Negli anni '50 e '60, l'economia capitalistica attraversò un periodo di sviluppo senza precedenti per intensità, per durata e per ampiezza dell'area geografica interessata. Rispetto alle altre fasi di espansione della storia del capitalismo industriale (1850-73, 1896-1913), questa ebbe ritmi molto più rapidi: nei paesi industrializzati, fra il 1950 e il 1973, il tasso medio annuo di incremento reale del prodotto pro-capite fu del 3,8%, quasi tre volte superiore a quello del 1896-1913. Ma l'espansione fu caratterizzata anche da una maggiore continuità: tanto da far apparire lo sviluppo economico e l'aumento del benessere come la condizione normale delle società industriali.
Il boom cominciò subito dopo la guerra negli Stati Uniti, che - usciti dal conflitto in posizione di forza - fecero da "locomotiva" alla ripresa economica mondiale. A partire dall'inizio degli anni '50, questa si estese anche ai paesi dell'Europa occidentale e al Giappone: superate le difficoltà della ricostruzione postbellica, grazie anche agli aiuti americani, questi paesi si svilupparono, nel ventennio successivo, a ritmi mediamente superiori a quelli degli Usa. Se intorno al 1950 gli Stati Uniti fornivano da soli un terzo della produzione mondiale (il 33,3%) contro il 28,4% delle altre aree industrializzate, nel 1970 il rapporto si era più che rovesciato (gli Usa al 26,5% e l'Europa col Giappone al 36,2).
Lo sviluppo degli anni '50 e '60 riguardò in primo luogo l'industria, soprattutto i settori legati da un lato all'uso di tecnologie avanzate, dall'altro alla produzione di quei beni di consumo durevoli (automobili, elettrodomestici, televisori) che raggiunsero in questi anni una diffusione di massa non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa occidentale e in Giappone. L'agricoltura ebbe uno sviluppo più lento, ma il processo di modernizzazione del settore si estese e si consolidò, consentendo fortissimi aumenti di produttività: in tutti i paesi sviluppati la produzione agricola crebbe costantemente (seppur meno velocemente di quella industriale), mentre il numero degli addetti al settore diminuiva, fino a scendere stabilmente sotto il 15% della popolazione attiva (addirittura sotto il 5% in Gran Bretagna e negli Usa). Parallelamente si accresceva la quota degli occupati nel settore
terziario (commercio, servizi, amministrazione e, in genere, tutto ciò che non rientra nei settori agricolo e industriale), che nei paesi più avanzati, all'inizio degli anni '70, era superiore anche a quella degli addetti all'industria.
Il boom del secondo dopoguerra fu il risultato di una serie di fattori concomitanti. Uno dei principali fu certamente l'esplosione demografica che seguì la fine della guerra (
34.4). La crescita della popolazione significò un allargamento della domanda di beni di consumo, di abitazioni, di strutture sociali (scuole, ospedali) e, sui tempi lunghi, l'immissione nei processi produttivi di nuova forza-lavoro più giovane e meglio qualificata (grazie ai progressi dell'istruzione).
Gli apparati produttivi dei paesi industriali furono in grado di soddisfare le esigenze di un mercato in continua espansione - e di stimolarne a loro volta di nuove - perché poterono giovarsi di alcuni fattori favorevoli: il costo relativamente basso, e tendenzialmente calante fino al '73, delle più importanti materie prime, in particolare del petrolio, che aveva ormai preso il posto del carbone come principale fonte energetica; e la disponibilità di una serie di scoperte scientifiche e di innovazioni tecnologiche che risalivano in buona parte agli anni precedenti il secondo conflitto mondiale, ma non avevano ancora trovato larga e universale applicazione o erano state usate soprattutto per fini bellici.
Il rinnovamento tecnologico si accompagnò a un generale processo di razionalizzazione produttiva e di concentrazione aziendale. Le concentrazioni coinvolsero sempre più frequentemente imprese operanti in diversi settori e anche in diversi paesi. Crebbero, in numero e in dimensioni, le grandi multinazionali, ossia le imprese che possiedono non solo filiali commerciali, ma anche impianti produttivi fuori dai confini del paese d'origine e che in qualche caso gestiscono bilanci - e detengono poteri - non inferiori a quelli di uno Stato di media grandezza.
Un altro fattore di sviluppo dell'economia fu rappresentato dalla liberalizzazione degli scambi internazionali che si realizzò nel secondo dopoguerra, in netto contrasto con la tendenza alle chiusure protezionistiche tipiche degli anni della grande depressione. Fra il 1950 e il 1970, il volume complessivo del commercio mondiale aumentò di ben cinque volte, grazie anche alla migliore efficienza dei trasporti e alla stabilità dei cambi fra le monete, frutto degli accordi di Bretton Woods (
30.4). Negli anni '50 e '60, il mercato capitalistico mondiale fu non solo più unito, sotto l'egemonia degli Usa, ma anche meglio regolato di quanto non fosse mai stato in passato. Ciò si dovette agli accordi commerciali fra singoli Stati o gruppi di Stati, all'azione degli organismi internazionali (come il Fondo monetario e la Banca mondiale), ma anche all'opera dei governi degli Stati industriali, quasi tutti ammaestrati dalle esperienze negative degli anni '30 e guadagnati alla causa delle politiche "keynesiane" di intervento statale in sostegno della crescita (
25.6).
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