35.5 I conflitti nell'Asia comunista
Negli anni successivi alla vittoria dei comunisti in Vietnam (1975) e alla morte di Mao Tse-tung in Cina (1976), l'Asia comunista ha attraversato una fase di profonde trasformazioni e di drammatici conflitti.
Dopo la conquista di Saigon, ribattezzata "città Ho Chi-minh" i nordvietnamiti ignorarono tutte le promesse di autodeterminazione e di riconciliazione fra le due metà del paese e attuarono una politica di puro e semplice assorbimento del Sud nel Nord e di sistematica emarginazione, non solo dei sostenitori del vecchio regime, ma anche dei capi della lotta di liberazione nel Sud. La collettivizzazione dell'economia fu condotta con notevole durezza. Nella primavera del 1978, la numerosa comunità di origine cinese - formata in gran parte da commercianti - fu improvvisamente espropriata dei suoi averi. Centinaia di migliaia di persone abbandonarono il paese, per lo più su piccole imbarcazioni, e molti persero la vita durante la fuga.
Ancora più tragiche furono le vicende della vicina Cambogia, dove i khmer rossi, sotto la guida di Pol Pot, misero in atto, fra il '76 e il '78, uno dei più radicali e sanguinari esperimenti di rivoluzione sociale mai tentati nella storia. Nell'intento di cancellare ogni traccia della vecchia società e di costruirne una nuova partendo da zero, i comunisti cambogiani consumarono uno spaventoso massacro, non solo eliminando fisicamente tutti coloro che avevano servito sotto il regime di Lon Nol (
33.4), ma provocando anche la morte per fame e per stenti di circa un milione e mezzo di comuni cittadini (su una popolazione di nemmeno sette milioni), costretti da un giorno all'altro a evacuare le città e a trasferirsi nelle campagne. Il denaro fu abolito. Templi buddisti, biblioteche e istituzioni d'ogni genere furono materialmente distrutti, in omaggio all'utopia di uno spietato comunismo agrario.
Geloso della propria indipendenza, e appoggiato per motivi tattici dalla Cina, il regime di Pol Pot costituiva però un ostacolo per i piani del Vietnam, che intendeva ridurre l'intera Indocina sotto il proprio protettorato (e lo stava già facendo col Laos). Nel dicembre 1978, 200.000 soldati vietnamiti, assieme a gruppi di esuli cambogiani, invadevano il paese e vi installavano un governo "amico" rovesciando quello dei khmer rossi, i quali, col sostegno della Cina, avrebbero continuato per parecchi anni a dar vita a un'ostinata guerriglia. Poche settimane dopo (febbraio '79) i cinesi effettuarono una spedizione punitiva nel Vietnam del Nord, infliggendo notevoli danni al paese, senza però raggiungere lo scopo di costringere il governo vietnamita a ritirare le truppe di occupazione dalla Cambogia. Dopo aver visto per decenni la lotta fra movimenti di guerriglia guidati dai comunisti e occupanti stranieri, la penisola indocinese diventava così teatro di conflitti interni al mondo comunista. Solo nell'88 - grazie alla mediazione dell'Onu e grazie anche al miglioramento nel frattempo intervenuto nei rapporti fra Cina e Urss - le forze vietnamite hanno cominciato a ritirarsi dalla Cambogia. E solo nel '91 si è giunti - dopo lunghissimi negoziati - a un accordo di pacificazione fra tutte le fazioni in lotta (compresi i khmer rossi) e alla formazione di un "Consiglio nazionale supremo" che dovrebbe convocare libere elezioni.
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