35.8 La difficile unità dell'Europa occidentale
Si è spesso ripetuto in questi anni che un'Europa occidentale unita, capace di mettere in comune le sue risorse economiche, le sue conoscenze scientifiche e il suo patrimonio culturale, potrebbe diventare una super-potenza, al pari dell'Urss e degli Stati Uniti. La realtà però è diversa. L'Europa di oggi non è un'area omogenea né culturalmente né economicamente, e l'unità politica è ancora di là da venire. La dipendenza militare dagli Usa si è accentuata, man mano che saliva il livello tecnologico del confronto missilistico fra i due blocchi (come dimostra la contrastata decisione, presa alla fine degli anni '70 dai membri europei dell'Alleanza atlantica, di accettare l'installazione di nuovi "missili di teatro" - gli euromissili - della Nato, per rispondere allo spiegamento di armi analoghe da parte dell'Urss). In campo economico, pur essendo ancora una delle aree più sviluppate e più prospere del pianeta, l'Europa ha perso terreno nei settori di punta rispetto a Stati Uniti e Giappone.
La crisi petrolifera, che ha colpito duramente tutti i paesi europei (con la parziale eccezione della Gran Bretagna, che ha cominciato a sfruttare i giacimenti di recente scoperti nel Mare del Nord) e le difficoltà di alcuni settori a suo tempo centrali nell'economia del vecchio continente (il minerario e soprattutto il siderurgico) non solo hanno acutizzato le tensioni sociali, ma hanno accentuato nei singoli Stati tentazioni protezionistiche e spinte centrifughe. L'istituzione, nel 1979, di un Sistema monetario europeo (Sme), che lega le monete della Cee a un sistema di cambi fissi, non è stata sufficiente a coordinare in modo efficace le politiche economiche dei paesi membri. Solo alla fine degli anni '80, grazie anche al favorevole andamento dell'economia, i progetti di integrazione hanno ricevuto nuovo slancio. Un vertice comunitario tenuto a Maastricht in Olanda nel dicembre '91 ha fissato le tappe per la realizzazione entro la fine del secolo di una moneta unica europea. E una ulteriore spinta verso l'unità dovrebbe venire, a partire dal 1° gennaio '93, dall'attuazione del mercato unico, ossia dalla caduta di tutte le residue barriere che ancora si frappongono alla libera circolazione dei capitali, dei beni e dei servizi all'interno della comunità.
Sul piano delle politiche interne, la crisi della metà degli anni '70 ha messo in difficoltà soprattutto le socialdemocrazie dell'Europa settentrionale. I laburisti inglesi, dopo aver ripreso il potere nel '74, lo hanno perduto nel '79 a favore dei conservatori. Il governo di
Margaret Thatcher, presentatosi su una piattaforma di intransigente liberismo, ha lanciato un duro attacco contro il potere delle Trade Unions; ha rimesso in discussione i fondamenti del Welfare State (senza però toccare le prestazioni fondamentali), ha riprivatizzato settori importanti dell'industria pubblica. Questa linea è stata complessivamente premiata dagli elettori, che per due volte hanno confermato la maggioranza ai conservatori: sia nell'83 - anche in virtù dell'ondata patriottica seguita alla guerra delle Falkland (
35.3) -, sia nelle successive elezioni dell'87. Nel 1990, però, dopo ben undici anni di ininterrotta presenza al governo, la Thatcher ha dovuto lasciare la guida dell'esecutivo in seguito alla ribellione del suo stesso partito, che non approvava alcune impopolari misure fiscali decise dal primo ministro e non condivideva la sua ostinata opposizione ai progetti di integrazione europea.
Anche nei paesi scandinavi (Svezia, Danimarca, Norvegia), le social-democrazie hanno visto minacciato o interrotto un dominio che durava incontrastato da oltre un trentennio. In Germania federale, infine, l'era dei governi socialdemocratici, guidati prima da Willy Brandt poi da Helmut Schmidt, si è conclusa nel 1983, con la rottura dell'alleanza coi liberali e con l'ascesa al governo del cristiano-democratico
Helmut Kohl. In questo caso la rottura della coalizione coi liberali e la successiva sconfitta elettorale della Spd non sono state determinate dai problemi economici (l'economia tedesca si è ripresa bene dalla crisi degli anni '70 e ha poi mantenuto un buon ritmo di crescita nel decennio successivo), ma dai contrasti di politica estera: in particolare dalle perplessità dei socialdemocratici circa l'installazione degli "euromissili" in Germania.
All'inizio degli anni '80, mentre perdevano terreno nelle tradizionali roccheforti dell'Europa del Nord, i partiti socialisti si affermavano largamente nell'area mediterranea e latina. In Francia l'Unione delle sinistre, che già aveva sfiorato il successo nel '74, si è imposta nelle elezioni dell'81, portando alla presidenza il socialista
François Mitterrand. Partita fra grandi entusiasmi, con ambiziosi programmi di nazionalizzazione, riforme sociali e aumenti salariali, l'esperienza dell'Unione delle sinistre ha finito in parte col deludere le attese dei suoi sostenitori. Le difficoltà dell'economia hanno indotto i socialisti ad accantonare i progetti di riforma più ambiziosi e ad adottare una serie di misure restrittive: il che ha contribuito a provocare la rottura con un Partito comunista schierato su posizioni di intransigenza (ma in forte calo elettorale). Con le elezioni legislative del 1986, i partiti di centro-destra hanno riconquistato la maggioranza nel Parlamento ma l'hanno perduta nuovamente due anni dopo, nelle consultazioni anticipate tenutesi nel giugno '88, dopo la rielezione di Mitterrand alla presidenza della repubblica.
Governi a guida socialista si sono affermati, all'inizio degli anni '80, nelle nuove democrazie dell'Europa meridionale (Portogallo, Grecia, Spagna), protagoniste, a metà del decennio precedente, di rapidi e quasi simultanei processi di fuoriuscita da regimi autoritari. La prima a cadere fra le superstiti dittature del vecchio continente fu la più antica di tutte, quella portoghese, sopravvissuta per pochi anni alla morte del suo fondatore Salazar (1970). Il processo di democratizzazione, accelerato dall'insofferenza dell'opinione pubblica e degli stessi militari nei confronti di una costosa guerra coloniale contro i movimenti indipendentisti dell'Angola e del Mozambico (
31.6), seguì un copione assolutamente inedito. Furono i militari a dar vita, nella primavera del '74, a un incruento colpo di Stato. Il potere fu assunto dapprima dall'ala moderata delle forze armate, poi da un gruppo di ufficiali di sinistra appoggiati dal Partito comunista. Ma dall'autunno del '75 - dopo la concessione dell'indipendenza alle colonie - i militari più radicali vennero emarginati e il paese fu restituito a un normale regime parlamentare e pluripartitico, che ha visto i socialisti di Mario Soares alternarsi al potere con i gruppi moderati di centro-destra.
Molto diversa fu la vicenda della Grecia. Qui erano stati i militari, nel 1967, a rovesciare con un colpo di Stato il regime liberale vigente dalla fine della guerra, attuando poi una durissima repressione ai danni dell'opposizione democratica. A porre fine alla dittatura dei colonnelli fu, nel 1974, l'esito disastroso di un colpo di mano mirante a ottenere l'annessione alla Grecia dell'isola di Cipro, da sempre divisa fra una comunità greca e una turca. La Turchia, militarmente più forte, reagì occupando una parte dell'isola (che avrebbe poi annesso nell'83). Travolti dall'insuccesso, i militari dovettero lasciare il potere ai partiti democratici: la "Nuova democrazia" di Costantin Karamanlis, espressione della destra moderata, che ha tenuto il potere dal '74 all'81 e lo ha riconquistato nell'89, e il Partito socialista di Andreas Papandreu, al governo fra l'81 e l'89. Nel 1974 un referendum popolare aveva sancito la fine della monarchia, peraltro già estromessa dalla dittatura dei colonnelli.
Un ruolo importante e positivo fu invece svolto dalla monarchia in Spagna. Il re Juan Carlos di Borbone, insediato nel 1975, dopo la morte del generale Franco, su un trono vacante dal 1931, come erede designato del caudillo, seppe pilotare con abilità il passaggio alla democrazia di un paese che, fin dagli anni '60, aveva conosciuto un rapido sviluppo economico (paragonabile per molti aspetti a quello italiano) e che non si riconosceva più nelle strutture del regime clerical-autoritario. Il re chiamò alla guida del governo Adolfo Suarez, un giovane uomo politico cresciuto nelle file del franchismo, ma convinto della necessità di un radicale rinnovamento politico, legalizzò i partiti (compreso quello comunista) e i sindacati liberi e fece approvare per referendum, nel '78, una costituzione democratica. Nonostante l'intensificarsi delle azioni terroristiche dei separatisti baschi, la democrazia spagnola si è consolidata rapidamente e ha sopportato senza scosse il cambio di potere verificatosi nell'82 con la vittoria elettorale dei socialisti di Felipe Gonzalez.
Il ritorno alla democrazia di Spagna, Portogallo e Grecia ha rappresentato certamente una delle maggiori e più positive novità della recente storia d'Europa. E ha consentito un ulteriore allargamento della Cee, cui hanno aderito tutti e tre i paesi: la Grecia dall'81, la Spagna e il Portogallo dall'86. L'ingresso dei nuovi membri - complessivamente meno avanzati degli altri sul piano dello sviluppo economico - è stato senza dubbio un passo avanti sulla strada dell'unità dell'Europa occidentale; ma nell'immediato ha fatto sorgere non pochi problemi nella gestione delle politiche comunitarie, che devono conciliare interessi spesso divergenti, e ha fatto risaltare ancor più le distanze politiche, economiche e culturali che tuttora separano le diverse aree del continente.
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