36.4 Il '68 e l'autunno caldo
La fine degli anni '60 fu caratterizzata in Italia da una radicalizzazione dello scontro sociale che ebbe come protagonisti prima gli studenti, poi la classe operaia. La mobilitazione degli studenti universitari, iniziata nel '67 e cresciuta nei primi mesi del '68, portò all'occupazione di numerose facoltà universitarie, a grandi manifestazioni di piazza e a frequenti scontri con le forze dell'ordine. La contestazione giovanile, mentre riprendeva temi e obiettivi già presenti negli altri movimenti studenteschi dei paesi occidentali (l'antimperialismo e la protesta contro la guerra del Vietnam, l'antiautoritarismo e la lotta alla civiltà dei consumi), assunse in Italia come caratteristica specifica una forte ideologizzazione in senso marxista e rivoluzionario. Cresciuto nella lotta contro l'autoritarismo accademico e lo stesso principio della selezione scolastica, il movimento studentesco assunse una posizione sempre più ostile nei confronti del sistema capitalistico e della "cultura borghese" in generale. La critica alla società borghese divenne rifiuto della prassi politica tradizionale (compresa quella dei partiti della sinistra "storica"), esaltazione della democrazia di base e del momento assembleare, dell'egualitarismo e della spontaneità. La ricerca, spesso velleitaria, di un nuovo modo di far politica si accompagnò, per molti giovani nati fra la fine degli anni '40 e l'inizio degli anni '50, a una vera e propria rivoluzione dei comportamenti che, innestandosi sui mutamenti già provocati dal boom economico, coinvolgeva i rapporti personali, il ruolo della famiglia e le relazioni fra i sessi.
Promosso all'inizio da una minoranza di estrazione borghese e allargatosi poi, col coinvolgimento degli studenti medi, a strati sociali più ampi, il movimento studentesco, a partire dall'autunno '68, individuò il suo interlocutore privilegiato nella classe operaia. La ricerca di uno stabile collegamento col proletariato derivava in parte dall'influenza di gruppi intellettuali da tempo schierati su posizioni operaiste (imperniate cioè sull'affermazione del ruolo egemonico della classe operaia), ma più in generale era dovuta alla presenza di una forte tradizione marxista che aveva caratterizzato per tutto il dopoguerra la cultura della sinistra italiana.
L'operaismo fu anche il tratto distintivo di alcuni fra i nuovi gruppi politici (tutti destinati a vita più o meno breve) che nacquero fra il '68 e il '70 sull'onda del movimento studentesco e che, per sottolineare il distacco dai partiti tradizionali rappresentati in Parlamento, furono chiamati "extraparlamentari": Potere operaio, Lotta continua, Avanguardia operaia. Caratteristiche ideologiche e organizzative diverse (più simili a quelle di un partito, con strutture fortemente autoritarie) ebbe invece l'Unione dei marxisti-leninisti, che si ispirava all'esperienza della Cina di Mao e della rivoluzione culturale. Legata alle lotte del '68 - e più specificamente alla contestazione nei confronti del Pci - fu infine la nascita del Manifesto, gruppo costituitosi nel '69 attorno all'omonima rivista per iniziativa di alcuni dissidenti comunisti.
La riscoperta della centralità operaia da parte del movimento degli studenti coincise con un'intensa stagione di lotte dei lavoratori dell'industria, iniziata nei primi mesi del '69, in vista di una serie di rinnovi contrattuali, e culminata, alla fine di quell'anno, nel cosiddetto autunno caldo. Avviatesi in modo spontaneo in alcune grandi fabbriche del Nord, le lotte ebbero come principale protagonista la figura dell'operaio massa, ossia del lavoratore scarsamente qualificato, spesso immigrato, sul quale più gravavano i disagi dell'inserimento nel contesto urbano e l'insufficienza dei servizi sociali. Anche per l'influenza della contestazione giovanile, questi conflitti aziendali si caratterizzarono per l'adozione dell'assemblea come momento decisionale, per l'elevato grado di partecipazione e per la radicalità delle richieste, incentrate sull'egualitarismo e sulla messa in discussione dell'organizzazione del lavoro in fabbrica. Per quanto colte di sorpresa dal movimento (e contestate dalle sue frange più radicali), le tre maggiori organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil) riuscirono a prendere in mano la direzione delle lotte e a pilotarle verso la conclusione di una serie di contratti nazionali che assicurarono ai lavoratori dell'industria cospicui vantaggi salariali (la crescita media delle retribuzioni fu di circa il 18%).
L'impegno comune nelle lotte dell'autunno caldo servì anche a riavvicinare le tre confederazioni sindacali, che avviarono un processo di parziale unificazione (sfociato, nel '72, nella costituzione di una Federazione unitaria, ma destinato a interrompersi alla fine del decennio) e rinnovarono profondamente le loro strutture organizzative, con la creazione di nuove e più dirette forme di rappresentanza, i consigli di fabbrica. Cominciò allora una fase - che si sarebbe protratta per tutti gli anni '70 - in cui i sindacati assunsero un peso crescente nella vita del paese, trattando direttamente col governo anche questioni non strettamente attinenti ai rapporti di lavoro (fisco, pensioni, sanità, tariffe pubbliche, ecc.) e invadendo non di rado il campo d'azione dei partiti. Il nuovo peso delle organizzazioni sindacali fu favorito, e in qualche modo sancito, dall'approvazione da parte del Parlamento, nella primavera del '70, dello Statuto dei lavoratori: una serie di norme che garantivano le libertà sindacali e i diritti dei lavoratori all'interno delle aziende.
Nel complesso, le lotte degli studenti e degli operai trovarono pochi sbocchi in un sistema politico che rivelò nell'occasione la sua rigidità e il suo scarso dinamismo. Le elezioni del maggio '68 non modificarono nella sostanza i rapporti di forza fra i partiti. E, di fronte alla contestazione, la classe dirigente si mosse con molte incertezze, senza riuscire a condurre in porto i disegni riformatori che essa stessa si era proposta. L'unico intervento di rilievo nel campo dell'istruzione fu la liberalizzazione degli accessi alle facoltà universitarie, non accompagnata, come sarebbe stato necessario, da una riforma della scuola superiore e della stessa università. Furono tuttavia varate in questo periodo alcune leggi importanti, destinate a incidere profondamente nelle istituzioni e nella società. Abbiamo già detto dello Statuto dei lavoratori. Fra il '68 e il '70 furono approvati i provvedimenti relativi all'istituzione delle regioni e, nel giugno 1970, si tennero le prime elezioni regionali. Nel dicembre dello stesso anno, con l'appoggio delle sinistre e dei partiti laici e nonostante l'opposizione della Dc, fu approvata la legge Fortuna-Baslini, che introduceva in Italia l'istituto del divorzio.
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