36.7 Politica, economia e società negli anni '80
I risultati elettorali del giugno '79, e quelli delle ulteriori elezioni anticipate del giugno '83, segnarono alcuni significativi mutamenti nel panorama politico. Il Pci registrò nel '79 una secca perdita di consensi, scendendo al 30% circa dei voti (percentuale su cui si sarebbe attestato anche nelle elezioni successive) e vedendo così frustrata la speranza di essere risospinto nell'area di governo dal voto popolare. La Dc, stabile nel '79, subì una netta sconfitta (dal 38,3 al 32,9%) nelle elezioni dell'83, che videro un significativo progresso dei partiti laici minori. Il Psi, nonostante il dinamismo di Craxi e del nuovo gruppo dirigente, raccolse risultati deludenti (9,8% nel '79, 11,4 nell'83), comunque non adeguati all'aspirazione a diventare l'elemento propulsivo del sistema politico.
Sul piano degli equilibri di governo, le elezioni non fornirono indicazioni che andassero al di là della verifica dei reciproci rapporti di forza. Chiusa la parentesi della solidarietà nazionale, l'unica strada praticabile fu il ritorno alla coalizione di centro-sinistra (Dc, Psi, Pri, Psdi), allargata, a partire dall'81, anche al Partito liberale, ormai lontano dalle scelte conservatrici di un tempo. Ma la novità più importante non fu tanto la formula di governo pentapartitica, quanto il fatto che la Dc, per la prima volta dopo il '45, cedette la guida del governo, affidata nell'81-'82 al segretario repubblicano Giovanni Spadolini e, dopo le elezioni dell'83, al leader socialista
Bettino Craxi. Una presidenza, quella di Craxi, che si sarebbe caratterizzata per il tentativo di potenziare il ruolo dell'esecutivo e di affermare una più incisiva presenza dell'Italia nella politica internazionale. Fra gli atti più significativi del governo Craxi, va ricordata la firma, nel febbraio '84, di un nuovo concordato con la Santa Sede, che ha ritoccato gli accordi del '29 lasciandone cadere le clausole più anacronistiche.
Per la Dc la perdita della presidenza del Consiglio fu lo sbocco di una fase di debolezza e di disorientamento seguita all'uccisione di Moro, ma anche l'inizio di un tentativo di rinnovamento interno legato alla segreteria di Ciriaco De Mita. De Mita ha cercato, fra molte difficoltà, di restituire al partito credibilità ed efficienza e di cancellare l'immagine di una Dc logorata dagli scandali e condizionata dalle clientele. Anche per il Pci i primi anni '80 furono segnati dall'emergere di gravi problemi, legati sia alle sconfitte elettorali, sia alla difficoltà di spingere a fondo il processo di revisione ideologica, di elaborare una piattaforma politica originale e aggiornata. L'immagine di partito "dalle mani pulite" e il carisma personale di Berlinguer conservarono tuttavia al partito una larga base elettorale. L'emozione seguita all'improvvisa morte del segretario comunista, nel giugno '84, fu forse fra i fattori che portarono il Pci, nelle elezioni europee tenutesi pochi giorni dopo, a raggiungere per la prima volta (col 33,3%) l'obiettivo del "sorpasso" della Dc. Ma nelle elezioni amministrative dell'anno successivo (giugno '85), i comunisti tornarono sotto il 30% (mentre la Dc segnò una certa ripresa); e l'estensione dell'accordo di pentapartito alle amministrazioni locali li ha allontanati dal governo di molte città e regioni conquistate a partire dal '75.
All'inizio degli anni '80 si registrò un'altra profonda trasformazione degli assetti politico-sociali, anch'essa legata al generale riflusso della spinta a sinistra che aveva caratterizzato buona parte degli anni '70. Nell'autunno 1980, i sindacati subirono la loro prima grave sconfitta dopo l'autunno caldo del '69, nella vertenza apertasi con la Fiat sul problema della riduzione della manodopera. L'azienda torinese riuscì a imporre le proprie scelte di razionalizzazione produttiva, nonostante la forte opposizione operaia e con l'imprevisto ausilio di una ampia mobilitazione di piazza dei quadri intermedi (la cosiddetta "marcia dei quarantamila"). Da quell'episodio ebbe inizio una progressiva riduzione del ruolo del sindacato, non solo come presenza in fabbrica, ma anche come soggetto politico.
I sindacati rimasero, anche in seguito, interlocutori del governo in materia di politica economica. Ma il loro impegno fu in buona parte assorbito dal tentativo, non sempre riuscito, di difendere le conquiste degli anni '70. Il principale motivo di contrasto era rappresentato dal costo del lavoro, in particolare dal meccanismo di scala mobile introdotto nel '75 e ora messo in discussione sia dagli imprenditori sia dal governo, impegnato nella lotta all'inflazione. Lo scontro si radicalizzò all'inizio dell'84, quando il governo Craxi, con l'accordo delle componenti non comuniste del sindacato, varò un decreto-legge che tagliava alcuni punti di scala mobile e che fu approvato in giugno dopo una lunga battaglia parlamentare. I comunisti promossero un referendum abrogativo, che si tenne nel giugno '85, ma ne uscirono sconfitti, seppur di misura. Pochi mesi dopo, la scala mobile fu parzialmente modificata, con l'assenso delle confederazioni sindacali e della Confindustria. Ma le parti sociali non riuscirono a trovare un accordo generale e il problema di un nuovo modello di relazioni industriali rimase sostanzialmente irrisolto.
Egualmente irrisolta è rimasta la questione del controllo della spesa pubblica (110.000 miliardi di deficit nel 1988, oltre 130.000 nel '90). Una questione che presenta difficili risvolti politici, in quanto chiama in causa i criteri e le forme dell'intervento statale, ampliatosi notevolmente, negli anni '70, nei settori della sanità, della previdenza e dell'istruzione, ma ancora caratterizzato da una larga inefficienza e da costi molto elevati. Anche in Italia, come in tutto il mondo occidentale (
35.1), gli anni '80 hanno visto svilupparsi una polemica che, partendo dalla denuncia degli eccessi di assistenzialismo, è giunta a mettere in discussione alcune strutture portanti del Welfare State (come la gratuità delle cure mediche o la semigratuità dell'istruzione).
Queste difficoltà sono state in parte compensate da una certa ripresa dell'economia che, a partire dall'84, ha superato la fase recessiva degli anni '82-'83, grazie all'aumento delle esportazioni e al profondo rinnovamento tecnologico di alcuni settori industriali (a cominciare da quello automobilistico). Anche la grande industria pubblica (siderurgica, meccanica, chimica), che negli anni precedenti era stata spesso gestita con criteri antieconomici e aveva accumulato perdite gravissime, è stata sottoposta, a partire dall'82-'83, ad ampie ristrutturazioni che ne hanno aumentato la competitività. Gran parte delle trasformazioni operate nell'industria pubblica e privata hanno però finito col gravare sulla collettività, sia in termini di accresciuta disoccupazione (l'11% circa nell'85), sia in termini di spesa dello Stato per la cassa integrazione guadagni, che garantisce un salario provvisorio ai lavoratori privati del posto.
Nel complesso, il sistema economico italiano ha manifestato nel decennio '80-90 - anche nei momenti di crisi più acuta - una vitalità notevole, al di là di quanto non appaia dai dati ufficiali sull'andamento della produzione e del reddito. Il fenomeno si spiega soprattutto con la crescita della cosiddetta economia sommersa: ossia quella miriade di piccole imprese disseminate nella provincia italiana e caratterizzate - grazie agli intensi turni lavorativi, all'assenza di controlli sindacali, alla mobilità della manodopera, all'elevata evasione fiscale - da alta produttività, da bassi costi e da una notevole capacità di adattamento alle esigenze del mercato. Un'espansione molto articolata, dal punto di vista della varietà delle forme di impiego, ha avuto negli ultimi anni anche il settore terziario, ormai al primo posto anche in Italia per numero di addetti (54,2%, rispetto al 33,7 dell'industria e all'11,7 dell'agricoltura nel 1985).
Lo sviluppo del terziario, il dinamismo di alcuni settori produttivi e la rinnovata competitività dei prodotti italiani sui mercati internazionali sono indubbiamente sintomi di vitalità del tessuto sociale, e hanno giustificato un certo ottimismo sulle prospettive di crescita economica e civile del paese. Essi si sono però accompagnati al manifestarsi di gravi fattori degenerativi. Il fenomeno della corruzione politica ha mostrato un nuovo inquietante volto all'inizio degli anni '80 con lo scandalo della Loggia P2: una specie di branca segreta della massoneria, ben inserita nel mondo politico, nella burocrazia e nei vertici militari e sospettata di perseguire - oltre a scopi di lucro e di carriera per i suoi associati - anche il fine di una ristrutturazione autoritaria dello Stato. Lo scioglimento della loggia, decretato nell'81 dal governo Spadolini, non ha cancellato l'immagine di una connessione, sia pur indiretta, fra alcuni settori della classe politica, il mondo dell'eversione di destra e la stessa malavita comune.
Il dilagare della malavita organizzata - soprattutto la diffusione della mafia e della camorra anche al di là delle tradizionali aree meridionali di insediamento - ha rappresentato negli ultimi anni la minaccia più grave alla convivenza civile. Il fenomeno mafioso, in particolare, ha conosciuto sviluppi abnormi, traducendosi spesso in aperta sfida ai poteri dello Stato (l'episodio più drammatico in questo senso è stato, nel settembre '82, l'assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, già protagonista della lotta al terrorismo, inviato come prefetto a Palermo per coordinare la lotta alla mafia). Mafia e camorra hanno trovato la loro principale fonte di lucro nel controllo del mercato della droga: un mercato che si è continuamente allargato a partire dalla metà degli anni '70.
Se la risposta dello Stato alla criminalità mafiosa non ha sortito - nonostante isolati successi - risultati decisivi, esiti ben più positivi ha avuto la lotta contro il terrorismo di sinistra. La svolta in questo senso si è delineata nel 1980, quando alcuni terroristi arrestati decisero di abiurare la lotta armata e di denunciare i compagni in libertà. Il numero dei pentiti - così sono stati impropriamente chiamati coloro che hanno accettato di collaborare con la giustizia - è andato da allora sempre aumentando, grazie anche a una legge approvata nell'80 che concedeva forti sconti di pena (fino alla scarcerazione immediata) come compenso per il contributo fornito dagli imputati allo svolgimento delle indagini. Una legge che ha fatto sorgere molte perplessità di ordine giuridico e morale, ma che ha dato un notevole contributo alla sconfitta del terrorismo. Il numero degli attentati, ancora molto alto nell'81, è rapidamente calato negli anni successivi e i principali gruppi clandestini hanno praticamente cessato di esistere.
La crisi delle ideologie e dei sistemi di valori fondati sul primato dell'impegno politico, se da un lato ha tolto spazio alle ipotesi eversive, dall'altro ha contribuito a perpetuare il distacco fra classe politica e società civile, ad accentuare la diffidenza nei confronti dei partiti, veri detentori del potere nell'Italia repubblicana, a far salire la polemica contro le disfunzioni del sistema: la lentezza delle procedure parlamentari, l'instabilità di una maggioranza troppo composita e logorata da continue polemiche interne, la mancanza di alternative alla coalizione di governo. Gli ultimi anni '80 - che pure sono stati caratterizzati da una congiuntura economica nel complesso favorevole e da una discreta espansione produttiva - hanno visto accentuarsi queste difficoltà e hanno reso più sentita l'esigenza di un ritocco degli equilibri istituzionali e dei meccanismi elettorali nati con la costituzione repubblicana. L'accordo che, nel luglio '85, ha consentito l'elezione alla presidenza della Repubblica, con una larghissima maggioranza, del democristiano Francesco Cossiga non ha evitato il riproporsi di contrasti in seno al pentapartito: contrasti inerenti sia alle scelte di politica internazionale (in particolare all'atteggiamento da tenere nella sempre più intricata e drammatica crisi mediorientale), sia ad alcune delicate questioni interne, come la giustizia e la politica energetica. Al di là delle divisioni su problemi specifici, c'era poi la rivalità di fondo fra i due maggiori partner della coalizione, socialisti e democristiani: questi ultimi decisi a rivendicare, in quanto partito di maggioranza relativa, la guida del governo.
Si è giunti così, nella primavera dell'87, alla crisi del lungo ministero Craxi e al quinto scioglimento anticipato delle Camere. Le elezioni (giugno '87) hanno segnato una affermazione del Psi (dall'11,4 al 14,3%) e un nuovo calo dei comunisti (dal 29,9 al 26,6%), cui ha fatto riscontro un certo progresso della Dc (dal 32,9 al 34,3%). Ma la maggiore novità delle elezioni è stata rappresentata dall'apparizione di nuovi gruppi, estranei ai partiti tradizionali: gli ambientalisti (i Verdi) che si sono presentati un po' ovunque cogliendo una discreta affermazione e gli autonomisti delle Leghe regionali (presenti soprattutto in Lombardia, ma anche in altre regioni del Nord). Questi ultimi, impostando la loro propaganda su una dura polemica contro il centralismo statale, la fiscalità e la corruzione politica - ma facendo anche leva su pregiudizi xenofobi e antimeridionalisti e sulle preoccupazioni suscitate dal fenomeno immigratorio - avrebbero ottenuto notevoli successi nelle consultazioni amministrative degli anni successivi.
Dopo le elezioni, la maggioranza di pentapartito si è faticosamente ricostituita grazie a un accordo sul programma, che ha consentito la formazione di due successivi governi a guida democristiana: il primo presieduto da Giovanni Goria (luglio '87-marzo '88), il secondo guidato dallo stesso segretario della Dc, Ciriaco De Mita. I governi Goria e De Mita non hanno però raggiunto i risultati sperati, né sul piano del risanamento finanziario, né su quello delle annunciate riforme istituzionali (l'unica innovazione di qualche rilievo è stata la riforma dei regolamenti parlamentari dell'autunno '88, che ha limitato la pratica del voto segreto, al fine di dare maggiore stabilità all'esecutivo). Il tentativo di De Mita, in particolare, è stato compromesso sia dalla mai sopita conflittualità fra i partner della coalizione governativa (soprattutto fra i socialisti e la sinistra democristiana, di cui De Mita era il leader), sia dai contrasti interni alla stessa Dc: contrasti che hanno portato, nel congresso di Roma del febbraio '89, alla fine della segreteria di De Mita, sostituito alla guida del partito da Arnaldo Forlani, leader dello schieramento "moderato" in seno al partito di maggioranza relativa. Indebolito dall'esito del congresso e logorato dall'ostilità dei socialisti, De Mita è stato costretto a lasciare anche la guida del governo, nel maggio '89.
La lunga crisi apertasi con le dimissioni di De Mita si è risolta solo in luglio con la ricostituzione dell'alleanza a cinque e la formazione di un nuovo governo a guida democristiana, affidato questa volta all'esperto Giulio Andreotti. Ma nemmeno il governo Andreotti - che pure sulla carta si fondava su un accordo politico più forte rispetto ai precedenti "accordi di programma" - è riuscito a riportare la compattezza nella maggioranza, che anzi ha dovuto affrontare una nuova crisi nella primavera del '91 e ha perso, in seguito ad essa, uno dei suoi partner, il Partito repubblicano. È dunque una coalizione di governo indebolita e da più parti contestata quella che ha dovuto affrontare uno dei momenti più delicati della recente storia italiana.
Torna all'indice